LA BESTIA NERA
di Davide Pravettoni
Nel silenzio delle colline metallifere attorno al piccolo borgo di Gerfalco, i cani abbaiano in modo insistente: abbaiano a fermo. È il segnale. Di lì a poco il bosco esploderà di urla, spari, richiami, latrati... è iniziata la caccia al cinghiale.
La cacciata comincia quando il sole è già alto. Il bosco viene circondato. Ai canai e alle loro mute spetta l’arduo compito di stanare il cinghiale e cercare di indirizzare la sua fuga verso i cacciatori alle poste, disposti in linea di fronte a loro.
La cacciata comincia quando il sole è già alto. Il bosco viene circondato. Ai canai e alle loro mute spetta l’arduo compito di stanare il cinghiale e cercare di indirizzare la sua fuga verso i cacciatori alle poste, disposti in linea di fronte a loro.
I cani per la caccia al cinghiale ce l’hanno nel sangue; di taglie e incroci più disparati, spesso ombrosi e con cicatrici ben evidenti, hanno tutti in comune un gran coraggio. Sono loro che danno il segnale alla squadra che si mobilita con urla e spari per mettere in fuga l’animale verso la linea dei tiratori. Le poste finalizzano il lavoro del gruppo uccidendo il cinghiale, anche se non è poi così raro padellare facendoselo scappare, poiché questo rompe la macchia come una fulminea valanga scura e scompare. A fine giornata ci si ritrova alla baracca dove il cinghiale viene pulito, controllato e pesato. La carcassa viene divisa dal capocaccia in tante parti quanti sono stati i partecipanti alla battuta.
La caccia al cinghiale è una caccia di squadra, grazie alla quale si rafforzano i vincoli comunitari e se ne creano di nuovi; è un rito, una tradizione sentita e radicata nelle comunità delle regioni appenniniche, un evento aggregante grazie al quale anche i borghi come Gerfalco, che conta ormai meno di 100 abitanti, si riempiono ancora di vita. La caccia al cinghiale è in ogni caso soprattutto tradizione: unisce una squadra di uomini e li guida in un legame simbiotico con i propri cani e con il bosco, a scovare e uccidere la bestia nera. Questa caccia è sfuggire a un mondo moderno che non appartiene appieno agli uomini, per ritrovarsi di nuovo in armonia con la natura e le sue regole.
Allora un vecchio, che aveva un'osteria, disse: Parlaci del Mangiare e del Bere.
Ed egli disse: Vorrei che poteste vivere del profumo della terra, alimentati come una pianta dalla luce. Ma poiché dovete uccidere per mangiare, e derubare il nuovo nato del latte di sua madre per calmare la sete, fate che questo sia un atto di adorazione. E che la vostra mensa sia un altare sul quale il puro e l'innocente della pianura e dei boschi venga immolato a quanto di più puro e innocente è nell'uomo.
Quando uccidete un animale, ditegli in cuore: "Dallo stesso potere che ti uccide, io sarò ucciso; e anch'io sarò consumato. Perché la legge che ti dà nelle mie mani mi darà in mani più potenti. Il tuo sangue e il mio sangue non sono che la linfa che nutre l'albero del cielo".
[K. Gibran - Il Profeta]