Lo studio dell'artista è una vecchia sala con un alto soffitto a volta; ovunque sono sparse le macchine per fare serigrafia. Odore di carta, colore, vernici; è molto luminoso, i legni chiari montati probabilmente a mano sono illuminati dal raggio di sole dicembrino che entra dalla finestra.
Mi viene ad aprire un ragazzo giovane, sui trenta, con i capelli arruffati e con addosso dei semplici jeans. Ha uno sguardo vivo, e nelle tasche tiene le mani.
Si chiama Keita Nakasone; Keita in giapponese significa spirito illuminato. La sua luce sta nelle mani capaci: dipinge e insegna serigrafia. Il suo studio dove tutto ciò prende vita, si chiama " matrici aperte".
Parlando, mentre fa da cicerone per Brescia, ogni tanto spalanca gli occhi e apre il petto per poi richiuderlo subito dopo, rimettendo le mani rigorosamente in tasca.
La sera all'inaugurazione della prima personale di Keita Francesco Nakasone, vedo la matrice: il padre di Keita è giapponese e possiede le espressioni del figlio ma esagerate al quadrato.
La personale è intitolata "Geografie", inaugurata il trenta novembre a Meano, rimarrà aperta fino a gennaio.
Il viaggio fa parte del sangue dell'artista, i lavori presentati derivano dai viaggi fatti principalmente in medio oriente e nord africa. Luci e ombre danno il ritmo alle macro zone della mostra.
In una governa l'olio: la pittura veloce che lascia un respiro di bianco sul foglio, dialoga con i colori dei vestiti vivaci e lo sfondo scuro sempre presente. Come osservatori non si è mai esclusi dal quadro; si rimane catturati dalla narrazione di una realtà scura e chiara a un tempo. Come il silenzio che emerge da:
"Quando sarai padre racconterai ai tuoi figli questa storia: c'era una volta in Anatolia", denso di parole.
Un'altra zona è dedicata alla serigrafia: due grandi pagine verticali; in una di queste  è impresso il solco della migrazione.
Uomini e donne  che portano la fatica delle dune.
Il respiro che muove le costole.
Le onde impietose del mare.
Il volto asciutto di chi ha vissuto il viaggio della morte, con gli occhi vuoti che non vogliono più vedere la brutalità del mondo.
Nell'ultima zona la luce della sala è spenta: ci sono dei cassetti verticali di legno che pendono dal soffitto. Contengono delle piccole luci al loro interno che illuminano i due lati verticali dei parallelepipedi, fatti di carta. Su questi a carboncino sono disegnati dei volti, le cui linee narrano la presenza scenica alta, su quei piccoli palchi.
Dopo aver vissuto fra le luci e le ombre, usciamo nella nebbia bresciana e viene acceso un braciere. Come le geografie di Keita, persone infreddolite si scaldano attorno a un fuoco che rischiara.
Così come accade in Anatolia, in Marocco, in qualunque parte del mondo; come accadeva migliaia di anni fa.
Geografie; grafie della Terra tracciate sull'uomo. Scritte nella nostra storia e sui volti degli uomini, in ogni luogo del pianeta.

Geografie
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