L'estratto è dal racconto breve "Carla", 2018.

Ci sono almeno tre persone in fila al bancone, qualcuno serio e qualcuno lì per chiacchiere con la ragazza fumetto di fiducia. Si vede il magnetismo. Ha una sintassi impeccabile, intesse sorrisi e battute intelligenti, senza perdere lo smalto; la sua pelle sembra liscia e morbida, di quel grazioso color pesca. Si abbina bene al vestitino rosso e bianco. Sento Davide nella mia testa che, due settimane dopo che era tornato dal festival di musica afro, mi dice con la voce tremante: “ti devo parlare”. Festival a cui non sono andata. Dovevo lavorare. Lavoro per essere indipendente. Sono indipendente per avere una casa che sia almeno in parte mia, con il secchiaio in terracotta. Ho il secchiaio in terracotta perché mi ricorda la terra, onesta, sincera. La terra mi ricorda la musica africana, che mi fa sentire forte. Lavoro per avere i soldi per i festival di musica afro. A cui quest'anno non ho partecipato, per lavorare per potermi pagare il festival. Davide prende un bicchiere. È sera, estate. Fuori non c'è inquinamento luminoso, essendo fra le montagne. Nel cielo blu rassicurante le stelle si vedono bene. Il bicchiere è rosso non rassicurante. I bicchieri me li avevano regalati i miei; sono panciuti, con le bolle all'interno: “ per la tua prima casa da sola”. Davide viveva a tratti con me, solo negli ultimi mesi. Riempie il bicchiere panciuto di acqua, nel secchiaio di terracotta, si tiene una mano sull'addome mentre beve, dandomi le spalle. Io lo guardo e aspetto che finisca, seduta sulla sedia alta, vicino al tavolo di legno. Con le dita arriccio le foglie della pianta sopra il tavolo. È vecchio, quel legno; ho sistemato le parti più critiche. Ero soddisfatta appena avevo finito il lavoro, perché rende accogliente la mia piccola cucina. Le mani erano piene di calli e di sicuro non lisce come le mani di Carla. Forse l'accoglienza non era abbastanza?
Carla
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