Attesa.
L’orologio della stazione si è fermato, segna ormai lo stesso orario da ore. Tutti, dentro e fuori corrono, corrono veloci inseguendo qualcosa, cercando disperatamente qualcosa. Ma io me ne sto ferma a fissare l’orologio che ha già segnato la sua ora, io me ne sto ferma a pensare al tempo. La ragazza di bianco vestita scende le scale di fretta con lo sguardo rivolto all’insù, con gli occhi sognanti. L’uomo un po’ goffo blatera qualcosa a voce bassa, sembra preoccupato. Ma io me ne sto ferma e continuo a fissare l’orologio. Non c’è tempo, né orario, non ci sono numeri. Felicità e dolore non hanno orari, non hanno date e non hanno scadenze. Io me ne sto ferma e penso che non so lasciarmi le cose alle spalle, penso che le cose che cerco di lasciare dietro di me, in questo momento, mi stanno sedute accanto. Me ne sto ferma a pensare al futuro, alla prossima ora che non so più quale sarà, alle incertezze senza tempo e alle consapevolezze senza tempo. Io non ho tempo, ma ho tutto il tempo del mondo. Non ho più fretta perché passato e presente si rincorrono adesso come i treni che mi passano davanti. Non ho più fretta perché ho capito che la mia vita è stata sempre il tentativo di fare cose giuste al momento sbagliato, di dire le parole che occorrevano nell’attimo sbagliato, è sempre stata il tentativo di dare un tempo alle cose quando tutte le cose hanno un solo,inequivocabile tempo perfetto: quello che noi scegliamo di dargli. Non ho più fretta perché tutte le cose ho imparato a misurarle nella mia anima senza la fredda e strategica teoria dei numeri, senza l’affanno di correre per salvare l’insalvabile. Io me ne sto ferma a fissare l’orologio e penso che forse è felice anche lui, penso che adesso ha smesso di dannarsi, penso che adesso può vivere come gli pare.
 
Isabella Rossi
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