Stefano Ciol's profile

Landscapes enclosed in delicate gossamer phials

Landscapes enclosed in delicate gossamer phials
Paesaggi racchiusi in fiale delicate e sottili
Landscapes enclosed in delicate gossamer phials

    Stefano Ciol’s diaphanous images, representing labile semblances of snowy or mist-bound landscapes, might be suitably expressed by Eugenio Montale’s definition of old Chinese poetry:  “droplets of water which ought to show us an ocean and just remain enclosed in their delicate gossamer phials”. These whites incised with thin grey lines in which “shadow is entangled and breaks”, as a poet of the Tang dynasty wrote at the end of the first millennium AD, also appear affected by the same poetic rarefaction which dissolves the elegant limpid images of a “floating world” in Japanese graphic art. Images like exhalations grazed by a sense of nostalgia, as though steeped in a gentle dream..
    From his father Elio Ciol, the world-famous master of photography, Stefano learned the transfiguration of landscape visions plunged in an entirely interior, lyrically sublimated Time. The constant task of keeping up with new technology led him to interweave traditional techniques with the latest, most advanced ones in order to accentuate the poetic rendering of the representation, make its substance deeper in ontological terms, seize its fleeting echo. Compared to Elio’s emotional participation, Stefano looks at things with a sort of aloof raptness.
    Using black and white he develops a language which amplifies the subject’s imaginative potential. The expressionist strength of black mingles, mixes in a magma of volumes massive mountain chains of Asia Minor, the Crete south of Siena, the Carnic Alps, rocks rounded like parts of a woman’s body, countryside landscapes of Friuli, Emilia, France. The panoramas of Andalusia seem to solarise Garcia Lorca’s poems against sombre backgrounds. Out of threatening mists rise apparitions of hills, possible frames from Orson Welles’ film version of Macbeth.
    On the other hand the effusion of whiteness in which things project themselves emphasises the enigmatic poetic remoteness of vision, its poised wonderment. In this sequence of an imaginary White Film—to paraphrase the title of a masterpiece by the Polish film director Krysztof Kieslowsky—the photograph becomes as faint as a very light ink or pencil drawing. The labyrinthine weave of trees and shrubs become rarefied calligrams or exquisite silver filigree embroidery, the curvilinear lines of furrows, the rows of vines and stakes rising from a nothingness of white, are swift flashes, elusive ghost-forms. Echoing vague landscapes precious arabesques rustle. Veiled fleeting traces pass through the unconscious. Reality blurs into illusion with the impalpable lightness of a breath; lost, every material consistency becomes a lunar fairytale mirage.
    “Whiter even / than the rocks of Monte Roccioso, / like the autumn wind” : the verses of the Japanese poet Matsuo Bashô could be an emblematic epigraph for Stefano Ciol’s visual lyricism.

Licio Damiani

Paesaggi racchiusi in fiale delicate e sottili

    Per le diafane immagini di Stefano Ciol, raffiguranti parvenze labili di paesaggi innevati o dissolti nella nebbia, potrebbe essere adattato il giudizio con il quale Eugenio Montale definì l’antica poesia cinese: “un insieme di gocce d’acqua che dovrebbero rivelarsi un oceano e se ne stanno chiuse nelle loro fiale delicate e sottili”. Quei bianchi incisi da sottili grafie grigie nelle quali “l’ombra s’impiglia e si spezza” - scriveva un poeta della dinastia dei T’ang alla fine del primo millennio dopo Cristo - paiono anche risentire della poetica rarefazione che dissolve le limpide eleganti immagini di un “mondo fluttuante” nella grafica giapponese. Immagini come vapori affioranti da un sentimento nostalgico, come immersi in un sogno soave..
    Stefano ha assimilato dal padre Elio Ciol, maestro dell’obiettivo famoso a livello internazionale, la trasfigurazione delle visioni paesaggistiche affondate in un tempo tutto interiore, liricamente sublimato. Il lavoro continuo di aggiornamento tecnologico lo ha portato a intrecciare le tecniche tradizionali con quelle più recenti e avanzate, allo scopo di accentuare la resa poetica della figurazione e renderne la sostanza ontologicamente più profonda, fissarne l’eco sfuggente. Rispetto alla partecipazione emotiva di Elio, Stefano guarda alle cose con una sorta d’incantamento straniato.
    Egli elabora, attraverso l’uso del bianco e nero, un linguaggio in grado di ampliare le potenzialità immaginative del soggetto. L’energia espressionistica del nero confonde, miscela in un coagulo di volumi massicce catene montuose dell’Asia minore, delle Crete Senesi, delle Alpi Carniche, rocce arrotondate come brani di corpi femminili, paesaggi campestri del Friuli, d’Emilia, di Francia.I panorami d’Andalusia paiono solarizzare su sfondi temebrosi i versi di Garcia Lorca. Da torve foschie affiorano frammentarie apparizioni di colline e paiono inquadrature del Macbeth nella versione cinematografica di Orson Welles. 
    Invece la candida effusione nella quale le cose si proiettano accentua l’enigmatico straniamento poetico, l’incantamento sospeso della visione. In questa sequenza di un immaginario Film bianco - per parafrasare il titolo di uno dei capolavori del regista polacco Krysztof Kieslowsky - la fotografia diventa esile orma simile a un disegno leggerissimo a china o a matita. Le labirintiche trame di alberi e cespugli trasformate in rarefatti calligrammi, o in preziosissimi ricami di filigrane d’argento, le fughe curvilinee di solchi, i filari di viti e di pali che emergono da un nulla di biancore, sono rapidi lampi, impalpabili forme-fantasma. Nell’eco d’indefiniti paesaggi alitano preziosi arabeschi. Tracce velate e fuggevoli attraversano l’inconscio. Il reale sfuoca nell’illusione con la levità impalpabile di un respiro; perduta ogni consistenza materica si trasforma in miraggio di favola lunare. 
    “Ancor più bianco / delle rocce del Monte Roccioso, / come il vento autunnale”: al lirismo visivo di Stefano Ciol i versi del poeta del Seicento nipponico Matsuo Bashô possono fare da emblematica epigrafe. 

Licio Damiani

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Black and White Portfolio

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