La notte non è sempre uguale. Assume la forma, il colore, il respiro di chi la vive. Di seguito la notte raccontata da tre personaggi distinti, ognuno nel corso della propria vita.

Clair sedeva sul lato nord del parco a ridosso della tangenziale A20, osservava le macchine passare, scriveva sulla coscia sinistra con una bic blu il numero del suo ultimo guadagno. 112 euro. Sarebbe dovuta arrivare a 450 quella notte, altri 5 clienti. Le gambe lunghe e bianche risplendevano nude sotto la luce fredda della luna, riscaldate da qualche faro anonimo a volte di un Pickup, a volte di qualche camion merce.  “Per un servizio completo sono 60”  annuiva maliziosamente Virginia, abbracciata allo sportello anteriore della macchina a 5 metri dal piede di Clair. C’era una grande differenza tra l’essere una puttana e il voler essere una puttana. “Siamo come animali in vendita in un petshop a basso costo, per giunta di scarsa illuminazione” pensava Clair alzando lo sguardo verso l’alto. “Le puttane hanno un cuore nero, un cancro indelebile sotto i vestiti, se diventi una schiava del sesso non puoi considerarti una casta intellettuale per la società” le aveva svelato Virginia i primi giorni in cui l’aveva conosciuta.  Clair riteneva che il lato oscuro di una donna non si svelasse con una buona fetta di torta e una tazza da the, alla luce del sole, ma che prendesse vita con la notte, quando le luci sono spente e gli scenari nascondono il fondale della scena. Clair amava la notte, l’amava perché essenzialmente ne faceva parte, lei animava la notte e la notte faceva sentire viva lei. Era uno scambio equo, come quello che avviene tra l’ossigeno e l’anidride carbonica. Un respiro affannato, un tocco lento. Tutti i grandi colpi di scena nei film hanno come madre la notte. Si sentiva libera sotto la luna, si sentiva una piccola stella cadente, così ribelle, così diversa dalle altre ragazze da non poterne farne a meno. Non avrebbe mai rinunciato alla sua vita da puttana. A lei stava bene così. Non era solamente il volto del proibito ad eccitarla, era la sua pelle nuda sotto un manto pieno di baci proibiti, assieme ai vestiti nel buio spesso cadono anche le maschere. La notte era così selvaggia per Clailr, così inebriante. “I sogni delle brave ragazze sono così spenti, come farebbero le stelle a brillare se qualcuno non le desse un buon incentivo per farlo.”   Pensava la ragazza concedendosi un ultimo tiro di sigaretta. “La notte conosce i miei segreti, mi nasconde dal giudizio del sole, amo la notte” concluse alzandosi da terra. Una macchina passò lentamente fermandosi a pochi passi da lei, abbagliandole gli occhi e colorandole il volto, di una luce calda. Altri 112 euro, un altro numero sulla coscia, altro inchiostro di bic blu sulla pelle, un'altra notte da vivere.

Marco uscì di casa, aprì il cancello in fondo al vialetto e si fermò. Istantaneamente il pallone bianco che teneva stretto tra le dita scivolò a terra, immergendosi tra l’asfalto. Due rimbalzi soffocati. Quella sera il cielo sembrava più grande del solito, la luna splendeva piena, come se qualcuno l’avesse ritagliata da un quadro di Van Gogh e ridipinta su una grande tela scura, come una piccola toppa ben cucita.  Marco non sapeva cosa fossero le stelle, il sistema solare non era in programma per la terza elementare. "Forse sono tante palle bianche come la mia"  pensò raccogliendo da terra il pallone, il quale rinfrangeva la luce del lampione sotto la sua testa; "chissà quanti bambini ci sono con cui posso giocare allora"  si domandò con tono sorpreso, come se quella domanda fosse stata fattagli da un estraneo, come se ciò che la sua voce aveva appena detto avesse sorpreso pure lui. Marco aveva sempre trovato un certo fascino nel cielo, "la notte è l’ombra del sole, viene per permetterci di sognare " le ripeteva la mamma ogni sera prima di spegnere la lampada color mogano a ridosso del letto.  Molti dei suoi amici avevano paura del buio, avevano paura di quando i loro genitori li rimboccavano le coperte e chiudevano la porta, lasciandoli soli, avvolti dalla notte, indifesi dai sogni, avevano paura che qualche mostro potesse uscire da dentro l’armadio e fargli del male, o,che un alieno potesse rapirli in viaggi misteriosi senza alcun pianeta di ritorno, così come diceva quello you tuber in quel video You Tube.  Per Marco non era così, la notte era sempre stata magica, poteva leggere un libro accendendo la luce sotto la coperta, facendo finta di ripetere incantesimi, come in un frame di Harry Potter, poteva far finta di essere il soldato Poll del suo videogioco, che vedeva al buio senza aver bisogno della luce del sole, poteva essere Batman senza indossare il mantello di Batman. La notte era bellissima per Marco, era come accendere una candela e vederne la sua bellezza nella fiamma, era come una foglio bianco, sul quale si potevano disegnare storie, tracciare le linee immaginarie, di un mondo immaginario. "Chissà se la luna è fatta di formaggio"  pensò Marco facendo rimbalzare la palla contro il muro a ridosso della staccionata, il mio amico Samuele dice che non bisogna guardarla la luna, che sicuramente è una qualche prigione aliena, dove vengono portati i bambini che la fissano a lungo, tenuti in ostaggio da qualche creatura aliena, "al mio amico Samuele non piace la Notte" pensò Marco strofinandosi le mani e scuotendo la testa.
"Marco a letto è tardi" disse la madre di Marco affacciatasi al poggiolo del secondo piano, Marco raccolse la palla da terra e, si voltò verso la luna un ultima volta prima di avviarsi verso la porta
"A me non sembri una prigione".
Marco si immerse nella notte, con il mantello di Batman e le stelle in testa.


Josef è codice rosso. Josef aveva fatto il liceo scientifico con la media del 100, aveva passato l’esame di medicina al primo tentativo, si era laureato con la lode, aveva fatto tirocinio presso uno dei più ambiti ospedali di Milano ed ora era dottor Josef Calbot, uno dei chirurghi più celebri della città. Josef era un perfezionista, reputava che un lavoro come il suo doveva richiedere il massimo della concentrazione, il massimo della determinazione, il massimo.  Un intervento a cuore aperto d’altronde non poteva rischiare di essere una tela di Picasso. Gli ospedali erano così grandi la notte, i pazienti sembravano dissolversi con l’imbrunire del cielo tra le corsie, le sacche di flebo scorrevano tra le mattonelle bianche, come piccole auto in una corsa senza arrivo, si fermavano davanti a qualche porta, poi le rotelle ripartivano, si fermavano e ripartivano senza preavviso, come i pazienti negli ospedali, si fermavano e poi ripartivano, alcuni si fermavano e basta. “Ho paura della notte, della notte non del buio, ho paura della notte, della notte non della solitudine, ho paura del suo silenzio, di quel silenzio assordante che spesso come una pioggia lieve, copre la testa bagnandone i pensieri e li impregna di una lieve angoscia.  Ho paura che qualcuno per colpa mia non possa riuscire a dire che fuori è una bella giornata, anche se sugli alberi piove grandine e il cielo è grigio.  Anche se fuori non è per niente una bella giornata. “Non si può giocare al piccolo chirurgo se il paziente è la grande vita” si ripeteva ogni tanto Josef passeggiando tra i corridoi del terzo piano. Il terzo piano era ben costruito, i due corridoi ai lati delle camerate abbracciavano quattro grandi vetrate, dalle quali era possibile godere di una bellissima vista. Quando era il turno di Josef trascorrere la notte in ospedale, quello era il suo posto preferito, gli piaceva osservare le stelle, osservarne il riflesso, era come se gli trasmettessero sicurezza, cosa c’era di più irraggiungibile delle stelle? Era solito a pensare, erano come delle piccole lucciole bianche in un etereo sfondo nero. Erano le stelle a ricaricare di speranza Josef, erano il suo trapianto alla vita. La notte di un chirurgo è come il sangue, alcune volte è arterioso: pieno di vita, acceso, invadente, soffocante, altre volte è venoso: sfumato, lento, malinconico, doloroso. Josef aveva scelto quella vita, aveva scelto la sua notte.  La notte era il suo lavoro, e il suo lavoro era la sua vita, un bianco riflesso in un cielo notturno, a volte chiassoso a volte chiassosamente muto. 
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