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Fuoco amico

Editorial



2019
Mattia Micheli Photographer
Fuoco amico 




V: Ciao Mattia, spiegami come è nato il tuo interesse per le armi da fuoco.
MM: È nato da una curiosità che nutro fin dall'infanzia. Mio nonno era cacciatore e aveva un fucile che teneva dietro la porta della sua camera da letto. Senza che nessuno mi avesse intimato di starne alla larga, quell'oggetto suscitava in me una sorta 
di istintiva repulsione.
Crescendo mi sono appassionato ai film di Cimino, Corbucci e Scorsese in cui l'immagine delle armi viene avvolta da una 
luce attraente. È stata proprio questa dicotomia tra repulsione e attrazione che poi mi ha portato a domandarmi come avvenisse 
il primo contatto tra l'uomo e le armi e soprattutto perché avvenisse. Così ho deciso di esplorare attraverso la fotografia quei luoghi in cui questo avviene quotidianamente.








V: Friendly Fire raccoglie foto da varie zone d'Italia, ma non solo: copre i vari ambiti in cui si esplicita il rapporto tra italiani 
e armi— la caccia, i poligoni di tiro, lo sport...
MM: Sì, ho cominciato scattando all'interno di un solo poligono di tiro. Dopo qualche ricerca online mi sono reso conto che in Italia esisteva pochissimo materiale fotografico su questo tema. Così ho pensato che sarebbe stato interessante allargare la mia ricerca all'intero paese e comprendere quale fosse il perimetro di questo microcosmo per circoscriverlo e coglierne le diverse sfumature.
Ho lavorato al progetto per circa tre anni, anche se in maniera non continuativa, visitando poligoni pubblici e privati, frequentando convention di settore e rievocazioni storiche in molte regioni. A lavoro finito, ho deciso di mescolare le storie più interessanti mantenendo un linguaggio esteticamente coerente e ironico. Ho cercato di inserire delle anomalie che rendessero la situazione più sospesa. C'è quasi sempre un dettaglio che non torna e che genera un misunderstanding. È lo stesso errore di identificazione che avviene nel "fuoco amico" che dà il titolo al progetto.






V: E cosa hai capito in questi anni del mercato delle armi in Italia?
MM: Sono un fotografo e non un esperto del settore, ma ti posso rispondere in base a ciò che ho constatato durante le mie ricerche: come tutti i mercati anche quello delle armi è molto sfaccettato, c'è una parte è legale e una che non lo è. I dati a disposizione sono molti ma è davvero difficile riscontrarne la veridicità. Diciamo che è un mercato estremamente vasto ed è sicuramente molto più fiorente di quanto siamo portati a pensare.
A me interessava più che altro capire le motivazioni che potessero spingere un individuo a voler detenere armi da fuoco e come il fenomeno venisse regolato dallo stato. Certo, tutto il progetto vive in una sorta di linea d'ombra fra legalità e illegalità.
E quali sono queste motivazioni?
Ci sono ragazzini che iniziano per sport e per i quali la carabina equivale ad una racchetta. Molti altri iniziano seguendo le orme di padri e nonni. Posso dirti che la famiglia ha spesso un ruolo decisivo, ma ho anche conosciuto persone che hanno iniziato a sparare da ultrasessantenni.
La risposta è sempre legata ad una storia individuale e come ti dicevo il mio intento è quello di descrivere la mentalità di un gruppo specifico, quello degli appassionati di armi, attraverso quelle dei singoli che ne fanno parte.






V: Guardando le tue foto si potrebbe pensare che siano state scattate negli Stati Uniti. Come mai si ha questa percezione?
MM: È vero, addirittura degli studenti americani erano confusi sulla provenienza. Il mondo italiano delle armi da fuoco è profondamente influenzato dal contesto americano e ciò innesca fenomeni di emulazione che si spingono fino al grottesco. 
Se siamo influenzati dal modello americano perfino nel cibo e nell'abbigliamento pensa a quanto possono esserlo 
gli appassionati di armi.

V: È che a prima vista pensi che queste foto siano state scattate in Texas, ma poi ti rendi conto che riguardano cose 
che succedono dietro casa tua. Capisci?
MM: Certo... Comunque anche il modo in cui ho deciso di scattare ha avuto un peso. Ho scattato in pellicola e rifacendomi molto allo stile americano degli anni Settanta.

V: Concretamente quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato?
MM: Innanzitutto superare la mia vecchia paura. Poi la difficoltà di accedere a determinati luoghi. Ottenere permessi, autorizzazioni, contatti, entrare in contesti molto lontani dalle mie corde abituali. Per quanto riguarda le difficoltà tecniche, inquadrare e mettere a fuoco, avendo dovuto indossare sempre occhiali protettivi.






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Intervista completa / Full interview >>>>>> vice.com
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