Textures
Textures ricavate da elementi presenti nei diversi luoghi/monumenti di Palermo.
Orto Botanico
Guido Piovene, Viaggio in Italia 1957
Se oggi cerco a Palermo le vestigia della città quasi irreale conosciuta nell’anteguerra, dovrò fermarmi sui giardini, per esempio l’orto botanico, non soltanto uno splendido e ben tenuto campo d’osservazione per l’istituto botanico che gli sorge appresso, ma più bello del celebre giardino botanico di Rio de Janeiro, di un esotismo più sognato, e perciò più intenso. Si cammina tra lunghi viali di capoc fioriti di fiori giallini e rosati, ma con i grossi tronchi tutti egualmente ricoperti di aculei; ci si ripara sotto i molti esemplari di fichi esotici, veri villaggi arborei, che in nessun luogo crescono così incredibilmente vasti.
Villa Giulia
Johann Wolfgang Goethe, Italienische Reise | Viaggio in Italia 1787
Ho passato delle tranquille ore deliziose nel giardino pubblico, in prossimità del molo. È il più meraviglioso angolo di questa terra. Concepito sopra un disegno normale, ha tuttavia qual- che cosa di fiabesco; piantato da poco tempo, ci trasporta nel mondo antico. Aiuole verdeggianti racchiudono piante esotiche; spalliere di agrumi s’incurvano in graziose capanne; alte pareti di oleandri, adorne di mille fiorellini rossi simili ai garofani, vi avvincono lo sguardo. Alberi strani, a me del tutto ignoti, ancora senza fogliame, probabilmente di paesi tropicali, allargano le loro ramificazioni curiose. [...] Le piante ostentano un verde al quale noi non siamo assuefatti e che ora è più giallastro, ora è più azzurrastro che da noi. Ma quello che conferiva all’insieme una grazia incomparabile era una vaporosità intensa, diffusa uniformemente su tutto, d’un effetto tanto più notevole quanto più gli oggetti, a pochi passi l’un dall’altro, spiccavano grazie a un tono azzurro chiaro marcato, in modo che o il loro vero colore finiva col perdersi o si presentavano allo sguardo per lo meno intensamente colorati di azzurro.
Chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio (Martorana)
Margherita Sarfatti, Venti giorni attraverso la civiltà della Sicilia 1921
Tutte le civiltà che la conquistarono lasciaron monumenti in Sicilia e segni sopra il suo suolo; ma i figli nomadi del deserto impressero di sé gli uomini e lasciaron segni di anima. Mi piace che le cinque cupolette della Moschea araba, abbaglianti di bianchezza, sian divenute senza mutare Santa Maria dell’Ammiraglio, proprio nel cuore di Palermo, alla cantonata dei Quattro Canti, di dove si vede il monte e il mare per cominciamento e per fine di ogni lungo rettifilo di abitazioni. Piace che Giorgio d’Antiochia, effigiato in mosaico sotto la intatta vòlta mauritana, porga la Chiesa alla Madonna, con la lunga mano esile presso la lunga barba bianca. E’ una mano di stile, che narra tutta una tradizione greco-alessandrina, ammollita, affinata, snervata ancora nell’Oriente di Bisanzio. Ma in quella barba ricciuta e leggera, in quel volto adusto, non vi è solo Bisanzio, ancora cristiana e semi-europea: questo ammiraglio di re normanno ha una fisionomia beduina di guerriero asceta; fisionomia di califfo e pontefice, doppiamente consacrato- re di ieratiche armi...
Chiesa di San Cataldo
Gerd Gaiser, Sizilianische Notizen | Notizie dalla Sicilia 1959
Al mattino ci attirarono i due piccoli templi dell’epoca normanna, San Cataldo e la Martorana, strettamente affiancati l’uno all’altro. [...] Ma il mondo delle nostre esperienze sarebbe meno ricco, se gli mancassero queste due piccole chiese, alle quali il caso o un intervento della provvidenza ha concesso di sopravvivere, strette l’una all’altra, in mezzo alla vecchia Palermo, una minuscola isola che comprende anche un mas- so nerastro del più antico bastione; per un paio di metri di lunghezza, inscurito e consumato, spunta ancora dall’asfalto, senza che nessuno ci faccia caso. Allora il porto si addentrava fin qui, oggi è il centro della città. Ambedue gli edifici non ci sono rimasti nella loro condizione originaria. La Martorana si cela sotto una crosta barocca, come un geode che va rintracciato in mezzo a della materia meno nobile. Il rivestimento dell’interno di San Cataldo si è perso. Resta la purezza, la splendente severità della struttura esterna.’’
Chiesa di Santa Caterina
Christoph Martin Wieland, Clelia und Sinibald oder Die Bevölkerung von Lampeduse 1783
Già la mattina di buon’ora, allo scampanio rumoroso
Del dì di festa, i cittadini di Palermo a frotte
Si erano raccolti per la messa nel giorno di Santa Caterina;
Il batacchio delle campane si era ormai fermato,
La processione con croce e bandiere era passata,
E già i preti intonavano, in onore alla Santa,
Adorni di ricche stole,
Presso altari ben incensati
Il loro Dominus vobiscum con voce stridula,
Quando Sinibald, un giovane perdigiorno
Della nobile stirpe di Tancredi (solitamente un tiepido fedele) Al braccio di Guido, parato a festa,
Mosso dalla curiosità entrava anch’egli nella chiesa.
Del dì di festa, i cittadini di Palermo a frotte
Si erano raccolti per la messa nel giorno di Santa Caterina;
Il batacchio delle campane si era ormai fermato,
La processione con croce e bandiere era passata,
E già i preti intonavano, in onore alla Santa,
Adorni di ricche stole,
Presso altari ben incensati
Il loro Dominus vobiscum con voce stridula,
Quando Sinibald, un giovane perdigiorno
Della nobile stirpe di Tancredi (solitamente un tiepido fedele) Al braccio di Guido, parato a festa,
Mosso dalla curiosità entrava anch’egli nella chiesa.
Cappella Palatina - Palazzo Reale
Guy De Maupassant, La vie errante. Premier Voyage: de style en style 1890
La Cappella Palatina, costruita nel 1132 dal re Ruggero II, in stile gotico-normanno, è una piccola basilica a tre navate. È lunga soltanto 33 metri e larga 13; pertanto è un giocattolo, un gioiello di basilica. Due linee di stupende colonne di marmo, tutte di colore diverso, conducono sotto la cupola, da dove vi guarda un Cristo colossale, circondato da angeli ad ali spiega- te. Il mosaico che costituisce il fondo della cappella laterale di sinistra è un quadro stupefacente. Rappresenta San Giovanni che predica nel deserto. Si direbbe un Puvis de Chavannes più colorito, più possente, più ingenuo, meno costruito, eseguito in tempi di fede vivida da un artista ispirato. L’apostolo parla ad alcune persone. Dietro di lui, il deserto, e proprio in fondo, alcune montagne azzurrine, di quelle montagne dalle linee morbide e sfumate in una nebbiolina, come le conosco- no bene tutti quelli che hanno percorso l’Oriente. Al di sopra del santo, attorno a lui, dietro di lui, un cielo d’oro, un autentico cielo da miracoli in cui Dio pare presente.
Chiesa di San Giovanni degli Eremiti
Guido Piovene, Viaggio in Italia 1957
E tra gli splendidi giardini, ancora più che tra le opere d’arte, la mia memoria colloca San Giovanni degli Eremiti, una chiesetta dalle cupole rosse sorta su una moschea, e un chiostro circondati di un giardino arabo folto di aranci, di pompelmi, di sensitive, di gelsomini, di dature, da cui pende quel fiore bianco, a forma di tromba, di cui la Sicilia è piena, che odora forte col crepuscolo, e che ha nomea di velenoso.
Porta Nuova
Lucio Piccolo, Le esequie della luna 1979
L’altra porta guarda occidente e mezzogiorno. I due schiavi dalle braccia mozze ai lati ascoltano i venti che vengono d’Africa. Tutto il giorno ruote, scalpicii, il richiamo dei venditori ambulanti e quello dei dispensatori d’acqua su le panchette colorate – l’acqua nell’ombra dell’arco è splendida – con il loro frastuono sembrano ostacolare transiti più leggeri. Allato è un’abitazione di poche stanze, finestre con sbarre orizzontali, ricavata dalla base stessa del bastione. Ma il sole se ne và più presto qui, dietro le montagne che s’imbrunano subito, nelle costole della salita l’erbe si risvegliano per le mani dell’erborista, e in compenso di questo suo celarsi in anticipo il sole che nimbi che aloni lascia sui profili e le cime, raggiere simili a stecche d’un ventaglio d’opaco scarlatto o venato di viola, e su una nuvoletta varca e si colora di mese e di stagione, fa immaginare le fiammate del tramonto su le sabbie d’occidente. Così la sera viene prima, e col suo arrivo i rimbombi sotto la volta vanno affievolendo, i passaggi meno frequenti. [...] L’ombra cresce, ancora poco e lo spazio dell’arco si colmerà d’azzurro già notturno, la calma peschiera dove estinguere ogni ansia. Le stelle seguono la loro strada, attente, come di grado in grado, forse sanno che le segue uno sguardo dal foro del tetto più alto o da una mobile piattaforma di acciaio. Una mano poi segnerà i loro umori negli annali delle piogge e dei venti.
Cattedrale
Alexandre Dumas, Le Speronare | La Speronara 1842
Si tratta di un magnifico edificio del dodicesimo secolo, di fattura per metà normanna e per metà saracena, pieno di stupendi particolari di miracolosa precisione e tutto intagliato, merlettato, e ornato di festoni come un ricamo di marmo; le porte erano aperte a tutti e il coro, illuminato dall’alto in basso da lampadari sospesi al soffitto e sovrapposti gli uni agli altri, diffondeva una luce abbagliante; non ho visto niente di simile da nessuna parte. Ne facemmo il giro tre o quattro volte, fermandoci di tanto in tanto per contare le ottanta colonne di granito orientale che sostengono la volta, e le tombe di mar- mo e di porfido dove riposano alcuni degli antichi sovrani siciliani. Trascorremmo un’ora e mezza in questa investigazione; poi, mentre stava per scoccare la mezzanotte, risalimmo nella vettura e ci facemmo portare al Corso dove, nella via del Cassaro, inizia a mezzanotte la passeggiata.
Catacombe dei Cappuccini
Christine Wolter, Juni in Sizilien | Giugno in Sicilia 1977
Dalle gallerie sotterranee arriva un’aria fredda, ma anche uno strano odore, quasi una sensazione prima ancora di aver visto. Sono allineati lungo i corridoi lastricati in pietra, ritti in piedi o appesi, in mantelli di velluto, camicie pieghettate, con paramenti vescovili o sacerdotali, in testa alti copricapo o ber- retti flosci, raggruppati da morti secondo le professioni, nelle giacche e nei pantaloni di volta in volta alla moda. Si affollano, riempiono una galleria dopo l’altra, un teschio accanto all’altro, reclinati sui corpi spolpati, talvolta dagli abiti ammuffiti spunta un ciuffo di paglia, l’osso di un braccio...
Castello della Zisa
Ippolito Nievo, Lettera a Bice Melzi d’Eril 1860
Com’è bella la Ziza! Darei la mia vita attuale ed anche un buon carato della futura per essere vissuto quando la Ziza era giovi- ne. – Non fare castelli in aria a favor mio. – La Ziza è una villa reale degli antichi conquistatori Mussulmani. Essa mi ricorda le Mille ed una notte, le romanze cantate al suono della chitarra; i sorbetti di rose; i turbanti, la pipa ed il chiaro di luna – tutte cose che io stimo assai più dei registri dell’Intendenza, e del- le riviste passate ai battaglioni. Oh povero me, come divento vecchio! Se avessi barba dovrei averla canuta.
Palazzina Cinese
Fulco Di Verdura, Estati felici. Un’infanzia in Sicilia 1977
Sempre nella periferia della Favorita c’erano il campo di corsa e i prati dove Papà faceva allenare i suoi cavalli. C’era anche un tiro al piccione dove Papà si esercitava a sparare su certi dischi di argilla lanciati in aria. Ma tutti questi svaghi, queste meraviglie impallidivano davanti l’incantesimo della Palazzina Cinese. Separata dal parco, circondata da un simmetrico giardino all’italiana, sorge questa incredibile costruzione. Un’accozzaglia di porticati, terrazze e terrazzini a livelli diversi, minareti e pagode che hanno l’aria di arrampicarsi gli uni su gli altri, questo monumento all’assurdo è sormontato da un tetto a forma di tenda. L’interno poi sfida qualunque logica. Entrando, invece di salire, si scende per arrivare nella gran sala da ballo che, lunga e stretta con un soffitto basso a forma di botte, potrebbe aver l’aria di una cantina se non fosse per le due nicchie semicircolari alle estremità con i gradini per i musicisti e una collezione di stampe inglesi del Bartolozzi che tappezzavano le due pareti...
Santuario di Santa Rosalia
Johann Wolfgang Goethe, Italienische Reise | Viaggio in Italia 1787
Giunti alla vetta del monte, dove questo forma come una nicchia nella roccia, ci troviamo di fronte a una parete a picco, alla quale la chiesa e il convento sembrano come appesi. L’esterno della chiesa non ha nulla di attraente; si apre la porta con indifferenza, ma già all’entrata si rimane colpiti dalla più gran meraviglia. Ci troviamo in un atrio, che continua per tutta la larghezza della chiesa, e s’apre in direzione della navata. [...] La navata è un cortile aperto, racchiuso a destra da rocce nude, a sinistra da una continuazione dell’atrio. E’ lastricata di pietra e un po’ inclinata per agevolare lo scolo dell’acqua piovana; una fontanina scorre press’a poco nel centro. [...] Il canto dei preti aveva finito di echeggiare nella grotta; l’acqua zampillava nel serbatoio di fianco all’altare e le rocce a picco sopra il vesti- bolo, la vera navata della chiesa, completavano meglio ancora la scena. Un gran silenzio dominava in questo deserto che sembrava restituito alla morte, e una grande pulizia in quella grotta selvaggia. [...] Io non mi potei strappare che a fatica da quel luogo, né ritornai a Palermo se non a notte inoltrata.
Villa Igiea
Bernard Berenson, Viaggio in Sicilia 1955
Siamo alloggiati a Villa Igiea, il grande albergo in riva al mare. Dalle sue fastose sale per leggere, scrivere, conversare o sorbire bevande, dal vasto giardino pieno di palme di ogni specie e di piante subtropicali, dalle ampie terrazze, si gode da un lato la veduta sul golfo e la frastagliata linea dei monti lungo la costa, mentre dall’altro, affacciandosi sul mare aperto, sembrerebbe di vivere a bordo di un transatlantico di lusso che navighi così liscio da non avvertirne il movimento. Per ottenerlo ordine esemplare, cura e buon gusto in tutto non fu certo badato a spese da parte di chi ne ebbe l’incarico.