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L'arte deve migliorare la vita?



Al portatore d’arte, statisticamente asociale, non interessa.
Vive solo per il suo materiale interiore, per esso raccoglie in sè impressioni, se le tira dentro, così profondamente
dentro di sè fino a toccare il suo materiale, sommuoverlo e provocare delle scariche. Poco interessa l’azione in
superficie: egli è freddo, il materiale va tenuto freddo, egli deve dare forma ai sentimenti, alle ebbrezze a cui gli altri
possono umanamente abbandonarsi, e ciò significa indurirli, raffreddarli, conferire stabilità a ciò che è molle.


Guardiamo il cammino percorso fin qui. Un cammino lungo millenni: tutta l’umanità vive di alcuni autoincontri, ma
chi incontra se stesso? Solo pochi. E sempre in solitudine.




L’arte non migliora, ma fa qualche cosa di più decisivo: modifica.

Può trattarsi di un’essenza che non migliora l’esistenza del singolo uomo ma lo intensifica e lo potenzia. Non ha
ripercussioni sulla storia, se è arte pura, non ha ripercussioni terapeutiche e pedagogiche, agisce in altro modo:
annulla il tempo e la storia, la sua azione si esercita sui geni, sulla massa ereditaria, sulla sostanza – un lungo
cammino all’interno.





L’arte suscita un torrente laddove tutto era indurito e torpido e stanco, un torrente che resta confuso e
incomprensibile ma diffonde germi su rive ridotte a deserto, germi di felicità e germi di dolore. L’essenza dell’arte è
perfezione e fascinazione: dove vivono a sufficienza sostanze di passione, natura ed esperienza tragica.



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