BISOGNA IL PRESENTE
 
 
‎"Certo le circostanze non sono favorevoli.
E quando mai?
Bisognerebbe... bisognerebbe niente.
Bisogna quello che è.
Bisogna il presente."
 
PGR, Cronaca montana
 
 
 
La possibilità di lettura e articolazione del presente nasce dalla sua vivisezione. Un'operazione ovviamente non indolore ma necessaria, come un'eterna adolescenza che ci porta a scagliarci contro i padri per rivendicare un io e un qui che di diritto ci spetta.
O ci spetterebbe, dato che per molti anni le circostanze non sono state favorevoli.
La compiacente soggiacenza a regole del passato ha fino ad ora prodotto una visione dell'isola addomesticata, una cartolina sempre in vendita per turisti annoiati e non sempre culturalmente pronti a capire il mistero e lo spessore di riti a tradizioni. Occhi sprezzanti e curiosi, un po divisi tra la bancarella del torrone e l'attenzione alla processione, per intenderci.
Il problema non è però il turismo in se, né la dinamica economica che fa sopravvivere molti centri isolani, quanto piuttosto il lento logorio delle nostre coscienze, il sonnolento incespicare della consapevolezza.
E si ingaggiano guerre fratricide sulla parola identità che è diventata una muta cassa armonica che rende lecita una baldanza festante ma vuota.
C'è stato un contagio, un virus che ha appiattito le aspettative e ridicolizzato ciò che prima era sacro; l'evento ha avuto il sopravvento sul sentimento, sulla sacra attesa e sulla doverosa pretesa di vita vissuta in questa terra di miti messi a tacere, terra in cui tutto passa e tutto resta.
 
Così il Museo delle Maschere di Mamoiada si prende la responsabilità di guardarlo in faccia, questo presente, e, con il suo peso istituzionale, scendere nel campo pieno del contendere, sconciare i giochi e uscire dal seminato. In senso letterale.
Decide, in pratica, l'indecidibile: ufficializzare la continua evoluzione e a tratti piena invenzione della tradizione sarda; fronteggiare questa ostinata rivisitazione che molto racconta del senso di smarrimento in cui versa la contemporaneità.
Lo fa con una finta magistrale e si insinua nella vita delle persone con un calendario, il più ingenuo e casalingo dei regali di buon anno.
Regalo che però, giorno dopo giorno, esplode come una bomba – nelle cucine, nelle sale, appesi a muri di garage e macellerie, ignari della responsabilità – attraverso gli sguardi di due giovanissimi fotografi.
Il Museo di Mamoiada compie una scelta controtendenza e non si affida al fotografo famoso, la star che richiamerebbe pubblico; preferisce scommettere su occhi che sappiano essere autentici e irriverenti, che non sentano il peso del ruolo o che seguano correnti politiche.
Si affida a giovanissimi occhi che appartengono a Paolo Marchi e Simone Carta, individuati da Su Palatu tra gli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Sassari.
Vicini come percorso formativo e amici nella vita, i due fotografi sbugiardano  definitivamente il mito dell'oggettività della fotografia, tanto diversi sono i loro lavori, talmente distanti i punti da cui osservano il mondo.
Si muovono entrambi su un terreno sfavorevole  confrontandosi con  il più svalutato dei temi e combattendo – anche in senso fisico – contro il gregge indisciplinato di fotografi che ogni anno si accalca in modo scomposto intorno a carnevali superstar con atteggiamenti che fanno buio ancor più fitto su quello che potremmo chiamare tradizione.
Da qui, senza attendere circostanze favorevoli, procedono senza scivoloni o voli pindarici; perseguendo una prospettiva ariosa si mantengono dritti su quell'equilibrio che dimostra l'invenzione del carnevale, la sua folle e arbitraria magia.
Paolo Marchi si muove declinando una elegantissima scala di grigi per un racconto che sa essere essenziale e suggestivo, leggero e poetico. È una festa ingenua quella che documenta, una voragine spazio temporale che lascia intravedere passati gloriosi... ora un po' troppo sbiaditi per recuperarne il sapore eppure ancora validi nel loro inventare ciclicità.
Simone Carta, al contrario, calca la mano in composizioni grottesche e inquietanti; una lettura disturbante in cui le categorie si mescolano pericolosamente, come un trip riuscito male, un incubo da cui vorresti svegliarti. Carta testimonia con freddezza la deriva e la celebrazione dell'eccesso sperimentato come unica alternativa al piatto grigiore dei giorni che diventan velocemente anni.
 
Non era quello che ci si aspettava, forse. Non le immagini da proporre ai turisti, immagino.
Ma è esattamente quello di cui abbiamo bisogno.
Appunti veloci su cui riflettere ogni singolo giorno di questo nuovo anno:
il carnevale non ha regole;
la fotografia non ha regole;
nemmeno l'identità ne ha di invalicabili.
Possiamo pienamente costruire il nostro presente.
FUOCO CARNE
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