Federico Bertolani's profile

Lucia Di Lammermoor 2016 Ancona

LUCIA DI LAMMERMOOR
Regia Federico Bertolani
Scene e Costumi Lucio Diana
Luci Michele Cimadomo

NOTE DI REGIA
Lucia è matta! Forse all’inizio dell’opera ancora vacilla fra ragione e sragione fra dolci illusioni amorose e orridi fantasmi;  ma sicuro la sua prima notte di nozze “a lei infelice! Della mente la virtude a lei manco!”.
Perché Lucia è infelice? Perché dolente ? Perché sempre pallida? Certo piange la madre estinta, ma s’intravede fra le pieghe della musica donizettiana un disagio più profondo, atavico, soffocante.
La ragazza scappa, si nasconde, si ritrae.  Lucia non è capace di vivere in questo mondo e si aliena.
Ed eccolo dichiarato con violenza, sin dalla prima scena, il mondo da cui la ragazza scappa, è un mondo dominato da una guerra eterna, da una diplomazia che più che tale appare una squallida politica nell’accezione più negativa del termine. Gli uomini fanno la guerra, la politica, agiscono con violenza e con razionale e sterile fine del potere. E le donne? Queste appaiono alle feste accanto ai loro uomini di cui probabilmente hanno sposato i corpi, le anime e gli ideali… ma ci sono ragazze diverse,  ragazze che se pur persuasa la mente seguono il cuore!
Da questo mondo sì costituito, Lucia è fuggita verso una sorta di esilio volontario ritirandosi nelle sue stanze o concedendosi passeggiate notturne nella natura. Il dramma inizia quando in queste passeggiate incontra un uomo simile a lei e se ne innamora. Edgardo, eroe moderno destinato al fallimento per destino e soprattutto incapace di ragionare in base alle logiche del suo tempo. I due ragazzi si amano, si illudono, giocano… ma la tragedia incombe inesorabile su loro: Edgardo è per famiglia il nemico mortale del fratello di Lucia e a ques’ultimo serve Lucia, sposa di Arturo,  per un obbiettivo politico.
A questo punto, privati del loro amore, non resta che l’alienazione totale dal mondo sia essa pazzia o morte.
Con Lucio Diana abbiamo pensato quindi a uno spazio scenico mutevole che raccontasse un mondo in guerra “da sempre”; lungi da intenzioni naturalistiche, una sorta di sala atemporale provata da granate o bombardamenti  sulla quale si affaccia quello che resta di un antico scalone che conduce alle stanze della protagonista. Poco spazio resta per il colore, per sontuose feste o per giardini lussureggianti, in un mondo popolato da militari spie e fanciulle sull’orlo della pazzia.
FEDERICO BERTOLANI


Ci troviamo già nella piena rappresentazione dell’insania della protagonista e in un pieno elogio alla follia. Poco aiutano alcuni drappi  straziati dalle guerre e dalle amarezze a coprire il vuoto di una mente e lo strazio di un’anima. Lucia conosce bene il suo animo ed è infatti la sola in scena che sembra muoversi con grande sicurezza nonostante il suo delirio. Sembra questo forse il filo conduttore della regia di Federico Bertolani  che fa della staticità di alcuni suoi personaggi la loro impossibilità di evoluzione in ogni direzione. Lucia continua dalla follia il suo percorso verso la morte esprimendo comunque un forte dinamismo sia espressivo che emotivo: intrisa di amarezza quasi nevrotica al limite dell’alienazione già nella fase dell’innamoramento, quasi presaga di uno scontato delirio nell’impossibilità di vivere a pieno quella felice situazione, fino ad essere dolente e rassegnata e flebile nelle scene finali dove cede ed abbraccia la  perdita del proprio senno. A Lucia non resta che fuggire dalla sua realtà prima attraverso la pazzia e, quando questa non basta, attraverso la morte. 
GB OPERA , Davide Oliviero

In questa nuova produzione la regia di Federico Bertolani ha avuto molti spunti di interesse, primo fra tutti l’intenzione di porre al centro del dramma Enrico, vivificato come personaggio pieno di tormenti e rimorsi, e al termine del dramma in lacrime per la morte anche di Edgardo, nemesi ultima delle azioni che hanno portato alla rovina totale della sua famiglia.
[…] ll duetto Lucia-Enrico diventa il vero snodo degli eventi, dramma nel dramma, molto ben cantato e recitato dei rispettivi interpreti. Lucia, infatti, tiene testa al fratello sostenendone lo sguardo senza la minima ombra di remissività, e comincia a vacillare solo dopo la lettera, pur mantenendo la forza di non cedere. E’ un continuo rimando di sguardi e inflessioni fra i due fratelli, l’uno con la speranza che l’altro ceda, finchè il tracollo definitivo arriva a La mia condanna ho scritta e lo sguardo di Lucia sarà da allora in poi vacuo e fisso
OPERACLICK, Domenico Ciccone

L’assenza di colore della scena, specchio dell’aridità e dell’ipocrisia dei personaggi maschili, trovava continuità nelle analoghe sfumature dei costumi di foggia ottocentesca, tra i quali solo il candore dell’abito di Lucia risaltava; per accendersi poi con una stola rossa nel momento della pazzia. 
IL GIORNALE DELLA MUSICA, Lucio Fava
Lucia Di Lammermoor 2016 Ancona
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