Nel laboratorio rotondo di un giardino, di una provetta circolare perché seriale e riproducibile, sto sperimentando innesti di erbe magiche ed altre storie (dell'arte, mie?). Pesto in un mortaio disegni botanici e ricordi di capitelli
con foglie mosse dal vento: chissà se ne sono sopravvissuti in Siria. Incroci di macchine pazze, telegiornali
di bombardamenti e sogni frantumati (e la simultaneità di tutte le cose che diventa equivalenza feroce),
perché mescolare e contaminare si può solo le parti: quello che è intero e concluso non si può.
Non ho più una veduta completa dalla cornice della finestra, la visione è perennemente segmentata, e il disturbo,
le interruzioni, il brusio, sono la materia di cui è intessuta, il sangue che le dà la forma. Scorrevole.
Il cerchio, pur essendo confine incandescente, attesta la ripetibilità dell'esperimento. Al suo interno si agitano piccoli
o medi mondi-giocattolo che potrebbero essere parti di un tutto... che non arriva mai.
Pagine di diario, cartoline da un vortice privo di centro.