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Collateral, by Michael Mann
Collateral è un film del 2004 diretto da Michael Mann; sono passati quindici anni dalla sua uscita ed è trascorso il tempo necessario affinché possa essere considerato un capolavoro.
La storia di questo film è ambientata a Los Angeles, tratta di Max, un tassista. Durante il suo turno serale prima ha come cliente Annie, un avvocato, la quale alla fine della corsa gli lascia il suo numero di telefono; successivamente incontra Vincent, il quale gli propone di essere il suo autista per tutta la notte perché ha delle firme da raccogliere per dei contratti immobiliari, proponendogli in cambio una grossa somma di denaro. Max accetta e viene poi a scoprire che Vincent è in realtà un assassino a pagamento. Nel cast troviamo Jamie Foxx nei panni di Max, Tom Cruise in quelli di Vincent, Jada Pinkett Smith in quelli di Annie oltre che Mark Ruffalo (Fanning) e Javier Bardem (Felix).
Michael Mann decide di girare la maggior parte del film in digitale, scelta che gli permette di poter girare con più facilità scene al buio e in esterno notte, di poter vedere nella notte.
La sceneggiatura scritta da Stuart Beattie ha interessato Mann per la sua compressione del tempo, tutto avviene in una sola notte, dal tramonto alle prime luci dell’alba. C’è una collisione tra due vite, “tutto quello che sei stato e che credi di poter essere, tutto crolla nel corso degli eventi di una notte” dice il regista. Una storia che evoca l’aspetto selvaggio in agguato sotto la superficie.
La città di Los Angeles assume un ruolo della stessa importanza dei personaggi di Max e Vincent, quest’ultimo definisce la città disconnessa, in cui nessuno si conosce e raccontando che se una persona morisse sulla metropolitana, nessuno se ne accorgerebbe. Michael Mann per fotografare la città usa le possibilità che offre il digitale: la luce dei lampioni rimbalza sullo strato di nubi e forma una luce diffusa, l’ambiente sembra quasi fiabesco, abbandonato, come un mondo magico. Nel film L.A. è sempre presente, troviamo una contrapposizione tra basso e alto: riprese ad altezza uomo in cui lo skyline della città fa da sfondo, e riprese in campo lunghissimo dall’alto (il punto di vista di Dio) in cui la griglia stradale della città su cui si muovono Max e Vincent sembra essere fotografata da un satellite, come se fossero spiati (spesso i due personaggi vengono inquadratati attraverso i monitor delle telecamere di sorveglianza della polizia che li sta inseguendo).
Nel susseguirsi della narrazione il caso gioca un ruolo rilevante, scelta voluta da Beattie nella scena di incontro tra Max e Vincent o nella scena in cui la polizia, a causa di una chiamata più urgente, non scopre il cadavere nel bagagliaio del taxi. Scene che potrebbero risultare forzate ma che rientrano perfettamente nell’ottica scelta dallo scrittore (d’altronde nessuna sceneggiatura di finzione reggerebbe ad un’analisi di verosimiglianza o plausibilità, parafrasando Alfred Hitchcock). Durante il corso della notte grava sui personaggi un certo senso di imprevedibilità, lo stesso Vincent afferma:” non sai nemmeno dove ti troverai tra dieci minuti”, rivolgendosi a Max.
Durante la notte gli eventi che si susseguiranno dettati dai vari omicidi che Vincent dovrà compiere, cambieranno totalmente i personaggi. Inizialmente il personaggio interpretato da J. Foxx – diretto con maestria da Michel Mann, come del resto fa con tutti gli attori - è solo uno spettatore della vita all’interno del suo taxi, porta sempre con sé una cartolina delle Maldive usandola come rifugio nella sua isola felice. Non ha il coraggio di fare il passo decisivo nella vita, sia per fondare la sua compagnia privata di limousine (la “Island limo”), sia per chiamare Annie. Quest’ultima è interpretata da Jada Pinkett Smith, la quale riesce ad esprimere molto di sé attraverso lo sguardo: come quando Max le regala la cartolina delle Maldive e lei, con il capo leggermente calato, risponde alzando lo sguardo con un lento movimento delle palpebre che lascia davvero stupefatti per la grazia del gesto. Il regista
spesso inquadra Annie velata dagli adesivi dei vetri interni del taxi, quasi a voler celare la sua bellezza (inoltre la foto degli occhi del cartello pubblicitario situato sul tetto del taxi sembra richiamare lo sguardo di lei).
Il personaggio di Vincent invece, interpretato da un bravo Tom Cruise per niente sopra le righe (uno dei suoi migliori film), è un arido nichilista, un hitman che ha la presunzione di considerarsi appartenente ad un mondo morale superiore a quello di Max, afferma che bisogna adattarsi alle situazioni. Sembra essere un prodotto di L.A. anche se non è la sua città e tutte queste caratteristiche si riflettono anche sul suo abbigliamento: un vestito grigio, come i suoi capelli, e una camicia bianca.
I caratteri di Max e Vincent si influenzano a vicenda, fino a giungere ad un totale ribaltamento di loro stessi. Dopo l’omicidio del testimone proprietario del club di jazz, a cui Vincent concede la possibilità di lasciarlo in vita se solo avesse risposto correttamente ad una domanda su Miles Davis, notiamo una reazione in Vincent, come se gli fosse quasi dispiaciuto. Difatti successivamente i due personaggi saranno costretti ad andare in ospedale a far visita alla madre di Max; è Vincent che consiglia di prenderle dei fiori e quando questa lo ringrazia e si scoprono le menzogne che Max ha raccontato alla madre la situazione si trasforma quasi in una faida tra fratelli. Max reagisce distruggendo la lista dei successivi obbiettivi da uccidere ma nonostante ciò, Vincent non lo ammazza. Siamo a circa metà film quando avviene una scena chiave: Max deve recuperare la lista e per farlo deve spacciarsi per Vincent, assume la sua identità imitando ciò che dice; da spettatore della vita quale è stato si trasforma in persona attiva.
Giungiamo a quella che è personalmente la mia scena preferita del film, quella in cui si realizza il cambiamento di Vincent: lui e Max sono nel taxi quando questi rallenta e si ferma, l’atmosfera sembra sospesa e cala il silenzio, due coyote attraversano la strada mentre parte la canzone “Shadow on the sun” degli Audioslave. Vincent sembra particolarmente colpito dall’evento, come se il suo mondo morale, tutte le sue convinzioni fossero crollate, in quel momento realizza di non contare nulla, di essere inutile dinanzi a quegli animali. Non solo, Mann riesce a riportare tutto ciò nello sguardo di Tom Cruise, inquadrato velato dagli stessi adesivi dei vetri interni lasciando ben visibili solo gli occhi. La stessa musica viene usata anche nel momento in cui si realizza il cambiamento di Max, in cui questi riesce ad affrontare sé stesso, affermando:” Siamo tutti insignificanti in questa merda di nulla”, aumentando di velocità volontariamente si schianta, con Vincent nel taxi, contro delle auto per poi scoprire, usciti quasi illesi, che Annie è la prossima vittima di Vincent e trova così il coraggio per chiamarla.
Nella sequenza finale Vincent come un cacciatore insegue le sue vittime Annie e Max. Tutta girata su un treno di una sopraelevata, Michael Mann decide di usare il green screen al posto dei finestrini, al fine di poter personalizzare lo sfondo a suo piacimento. Infatti quando Vincent, sparato da Max, si accascia morente sul sedile, emerge da dietro la silhouette di un albero. Prima di morire Vincent in modo quasi patetico spera che qualcuno si accorga del suo cadavere, raccontando a Max la stessa storia dell’uomo morto in metropolitana.
Se “Heat”, il precedente capolavoro di Michael Mann, si apriva con l’arrivo di un treno della sopraelevata sempre a Los Angeles ma di notte, Collateral si chiude con lo stesso treno che si allontana alle prime luci dell’alba.
In questa notte tutto cambia.
“Ehi Max, un tipo sale sulla metropolitana di Los Angeles e muore. Credi che qualcuno lo noterà?”.

“Dark was the night, cold was the ground”: the calvary of Blind Willie Johnson
Una vita non facile quella di “Blind” Willie Johnson, nato nel 1897.
Perse sua madre all’età di quattro anni. Tre anni dopo, un litigio tra la matrigna e suo padre culmina con un lancio accidentale di acido solforico negli occhi del piccolo Willie, causandogli la cecità. Da qui il suo soprannome.
Blind Willie Johnson: una storia che ha la forma di un calvario
Una storia che ci guida verso la redenzione e la gloria, Cristo fu crocifisso sul Golgota prima di raggiungerle; Blind Willie invece, dormì per strada, usando giornali bagnati come coperta, dopo che la sua casa fu distrutta da un incendio. Condizioni che lo fecero ammalare gravemente di malaria. Morì a 48 anni, nel 1945.
Dark was the night, cold was the ground
Queste poche informazioni sulla sua vita rendono minore lo sforzo per comprendere il titolo di questo brano, registrata nel 1927.
Bind Willie Johnson (che a cinque anni ricavò una chitarra da una scatola di sigari) sta suonando la sua chitarra slide, e lo fa in un modo mai sentito prima.
Non ci sono parole in questa canzone, lo sentiamo solo canticchiare, gemere e intonare melodie di dolore.
Il paragone fatto sopra con Cristo non era casuale. Johnson attinge dalla tradizione musicale blues, ma la maggior parte dei suoi testi sono di tematica religiosa. Difatti la sua musica è stata definita holy blues o gospel blues.
Il titolo della canzone richiama un inno inglese del 1792 di Thomas Haweis, intitolato “Dark was the night”. Veniva cantato nelle chiese nere nel diciannovesimo secolo, inno che parla dell’agonia di Cristo, per l’appunto. La prima strofa è:
Dark was the night, and cold the ground                            (Buia era la notte, e fredda la terra)
On which the Lord was laid;                                                  (Su cui il Signore giaceva;)
His sweat like drops of blood ran down;                    (Il suo sudore come gocce di sangue scorreva;)
In agony he prayed.                                                                  (In agonia pregava.)

Buia era la notte e fredda la terra sui cui Blind Willie trascorreva le sue ultime notti, al freddo e nell’oscurità. La notte cantata con agonia e dolore è un calvario che conduce alla luce e al calore dell’approssimarsi dell’alba.
Nel 1977 questo brano è stato inserito nella playlist, composta da ventisette brani musicali, da lanciare nello spazio a bordo della sonda spaziale “Voyaer”, per presentare le varietà di cultura della razza umana agli alieni che potrebbero trovarsi nello spazio. Brano selezionato per rappresentare la solitudine umana e sentimenti quali la tristezza e la malinconia.
Questo brano è stato soggetto di diverse cover, tra le più annoverate troviamo quelle dei chitarristi Marc Ribot e Ry Cooder.
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