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Sand Art - Progetto Fotografico

Sand Art - Racconto di un processo creativo
Progetto realizzato per l'esame di Tipografia e Fotografia del CdLM in Design, Comunicazione Visiva e Multimediale,
La Sapienza Università di Roma.
A.A. 2021/2022
Docenti: Daniele Capo, Giacomo Fragapane
Sand Art come evento drammatico
Con il concetto di “evento drammatico” possiamo definire una qualsivoglia azione scenica o processo che abbia per sua costituzione un inizio, un apice ed una conclusione.
La Sand Art è unʼarte effimera, caratterizzata da un elemento fondamentale: la caducità.
Il suo apice si ha con la realizzazione finale dellʼopera e termina con lʼinevitabile suo disfacimento, proprio questa è la caratteristica che la rende unica, la costante possibilità di mutare e cambiare forma, una tela bianca da riempire e cancellare infinite volte.
Ricerca degli strumenti
È bastato aggiungere una maniglia ad una vecchia lavagna da oculista, setacciare un poʼ di sabbia e raccogliere qualche vecchio pennello per poter iniziare a sperimentare.
Lo strumento giusto amplifica le prestazioni ed il talento dellʼartista, in qualsiasi espressione dʼarte la scelta degli strumenti risulta fondamentale. Nella Sand Art questo concetto diventa labile e fortemente versatile, risulta necessario disporre di tre elementi imprescindibili: sabbia, luce ed un supporto semitrasparente, tutto il resto è arbitrario.
Le mani giocano un ruolo fondamentale e diventano strumento principale e potenzialmente ne sostituiscono qualsiasi altro, in questo modo lʼartista instaura un rapporto intimo con la materia e la plasma cercando prima di comprenderne le sue potenzialità.
Comprendere la materia
La sabbia ha una sua fluidità, per questo inizialmente non è facile rapportarsi con la Sand Art.
Spesso il risultato è imprevedibile, la sabbia scappa tra le dita, crea ombre, linee morbide ma frammentate ed il primo tentativo è sempre incerto e fragile.
Risulta fondamentale capire il rapporto tra sabbia e luce, in particolare è importante imparare a dosare il getto di sabbia, capendo come reagisce alla caduta e come si stratifica, tutto ciò permetterà allʼartista di sfruttare al meglio le caratteristiche della materia e di realizzare lʼeffetto desiderato.
"Una forma naturale, con i suoi imprevedibili contorni, è unʼ espressione di infinitesimali metamorfosi di qualità. La fotografia sembra perfettamente adatta per rappresentare questo tipo di movimento, o forma."

J. Wall, Gestus scritti sulla fotografia e sullʼarte, Quodilibet, 2013, p. 11
Spazio alla creatività
Quando le altre luci si spengono, la lavagna si accende e prende vita. La Sand Art segue logiche opposte a tutte le altre arti e sfrutta la luce in maniera totalmente nuova, la luce non serve, in questo caso, per veder meglio ma è parte integrante dellʼopera, diventa materia tanto quanto la sabbia, si stratifica in velature, si modifica e cambia natura.
Quando si decide di voler iniziare è necessario pulire tutto il piano di lavoro, si cancellano le prove, non rimane traccia della bozza, dellʼevoluzione del lavoro, dellʼesercizio. Rimane lʼesperienza, la sensazione, il tatto, la tecnica appresa dallʼartista ma niente di più.

Si accende la lavagna, tabula rasa, un continuo susseguirsi di creazione e distruzione.
Il fotografo e studioso dellʼarte Jeff Wall nei suoi saggi parla di Intelligenza liquida, ovvero lʼindefinibile flusso della natura con le sue forme, che difficilmente possono essere descritte, un Panta rei di essenza che permea lʼintera natura ma che trova la sua massima espressione nellʼacqua. Wall è convinto che la fotografia, seppur dicotomica come processo, possa catturare queste forme inafferrabili e creare infinite associazioni. 
La sabbia, come una cascata, scivola tra le dita ed anche in questo caso la fotografia cattura quellʼistante, potenzialmente irripetibile.
Cattura la precisione del getto che cade perfettamente perpendicolare, cattura la polvere impercettibile che si alza nellʼimpatto e di conseguenza cattura lʼessenza di un gesto, un attimo che fugge via.
Anche gli strumenti sono oggetto di creatività e versatilità, lʼartista spesso decide di rendere strumento un oggetto qualsiasi, un ramo, una cannuccia, il retro di un vecchio pennello.
Tutto può essere strumento, questo processo intrinseco alla tecnica della Sand Art potrebbe sembrare banale ma, una volta vissuto è stupefacente. Non avere il limite di possedere una determinata attrezzatura, avere la possibilità di sperimentare, dare spazio al riciclo, dare nuova vita alle cose, non è, in realtà, per niente banale.

Lʼimperfezione crea unicità e chi sperimenta costantemente nel mondo dellʼarte, conosce la bellezza di un dettaglio, anche di un errore.
Se gli strumenti possono potenzialmente essere tra i più disparati, così anche la tecnica, la pressione che viene impressa e la velocità del tratto cambiano continuamente durante il processo. Ogni strumento da vita a un modo nuovo di approcciarsi alla materia e spesso è proprio da un errore che si evidenziano forme e texture inaspettate. 
Le texture, superfici caratterizzate visivamente e matericamente, ci circondano e forse per questo, spesso, non ci stupiamo più della loro bellezza e del loro potenziale espressivo. Sono quella parte della materia infinitamente piccola che completa la realtà e arricchisce la nostra percezione del mondo.
Credo che la fotografia sia stata, nel racconto di questo processo creativo, una complice e una rispettosa alleata. Il mio occhio, insieme allʼobiettivo ha scrutato lʼevolversi delle situazioni con la curiosità di un bambino ma anche con discrezione, con lʼintenzione di non voler disturbare ma semplicemente documentare ciò che accadeva.
La realtà del laboratorio, gli strumenti, il contesto, tutto arricchisce lʼenfasi dei gesti in primo piano e tenta di raccontare qualcosa di più anche sullʼartista, un qualcosa che si può intuire e interpretare ma che rimane sospeso in quegli istanti.
Fotografia e realtà, un binomio che potrebbe sembrare scontato, a livello meccanico lʼobiettivo cattura ciò che di reale ha davanti. 
Sotto lʼaspetto psicologico tutto è più complesso, si apre un mondo fatto di maschere, di impercettibili gesti, di sguardi e di contesti.
Ma cosʼè la realtà? Un concetto sicuramente relativo, soprattutto quando si entra nel mondo dellʼinterpretazione e nella sfera emozionale.
La lettura del libro di Roland Barthes, La camera chiara, ha suscitato in me la necessità di voler rappresentare in questo progetto la mia realtà, perché mi piacerebbe guardare il risultato anche a distanza di anni e riconoscerlo come vero, non come una maschera.
Per questo ho scattato le foto che compongono questo progetto nel laboratorio dove sono cresciuta, ho raccontato una giornata tipo dellʼartista, mio padre. Ho sempre osservato i suoi movimenti per poter imparare la precisione, la cura e il rispetto della materia, questa volta ho semplicemente immortalato quegli istanti e li ho condivisi.
Quando si parla di unʼopera realizzata con la tecnica della Sand Art si fa riferimento a tutto il processo, perché esso è lʼopera stessa, il risultato finale è il suo apice.

Uno, due, tre spazzolate di pennello, per un istante gli sguardi si incrociano e poi la tela torna bianca.
Si spegne la luce e quando si riaccenderà, qualcosa di nuovo sarà il protagonista delle emozioni di luce e sabbia.
Impaginazione progetto fotografico
Elena Pusceddu, 2021
Sand Art - Progetto Fotografico
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