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(the factory tells)
La Lebole Racconta  ( la Fabbrica Racconta ) 


Adesso tocca me raccontarvi con le immagini la mia “Lebole”. Non un'industria, non una fabbrica, ma un pezzo di storia della nostra città,  appartenente alla mia generazione ed ella generazione dei miei genitori. Alla soglia dei miei 50 anni sentivo il bisogno di rappresentare quello che è rimasto della fabbrica, cercando di immaginare questo luogo descritto tante volte dalle parole di mia mamma. Molti sono gli anni che ha trascorso lì, tra giacche, pantaloni capi di ogni genere, tra suoni e rumori, tra lotte e soddisfazioni.
Sento le sue parole, e mi sono fatto tante idee. La Lebole era più di una semplice fabbrica; era il fulcro della nostra economia che ha permesso di sviluppare la nostra città nel bene e nel male. Con quegli stipendi sono stati stipulati mutui, acquistate case, auto, siamo andati in vacanza, siamo diventati quello che siamo adesso.
Provate a pensare se i nostri genitori non avessero avuto quegli stipendi; e provate adesso a raccontare  queste storie ai vostri figli: certamente non capirebbero.  Sapete quante volte ne ho parlato con mia figlia di 15 anni; lei mi guarda in modo strano, non riesce a capire mi dice “Babbo ma cosa mi stai dicendo, non ci credo”. Io, invece, guardo la mia mamma fiera del suo lavoro e la vedo lì, come un eroe invincibile. 
Abitavo in Pescaiola, un quartiere adiacente alla fabbrica, aldilà della ferrovia, e la mattina sentivo le sirene che chiamavano al lavoro le donne e gli uomini del miracolo economico… e lei partiva con la sua bicicletta sempre di corsa e non importava se pioveva o faceva caldo, lei doveva andare a lavorare. Una miriade di persone affollava quel luogo, dove il tempo era scandito da quelle sirene. Da quella della pausa per il pranzo a quella della sera: il dolce suono che terminava una dura giornata di lavoro.
E poi le lotte sindacali, la produzione, il cottimo, i rapporti con le colleghe, lo spaccio, tutte cose che mi rimbombano nella testa mentre esploro la Lebole… mi vengono i brividi se penso quello che era  mentre  adesso fotografo ciò che ne è rimasto .
Quando parlo a mia madre, i suoi occhi diventano lucidi e racconta: "…guarda che ci doveva essere l’infermeria... lì la mensa… in quella palazzina la direzione… la centrale termica… i magazzini... il terzo stabilimento...", e io esploro e cerco di raccontare.
La prima volta che ho scattato lì mi sembrava di sentire le loro voci, le voci delle macchine, vedevo le colonne di vapore il rumore dei camion e non nascondo che mi sono emozionato .
Sono stato lì molte volte, e ogni volta un’emozione diversa, una nuova scoperta. E' come se la fabbrica fosse ancora viva, e credo che non morirà mai, e rimarrà nei pensieri di tutti noi ”Figli di Leboline"  .
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