Passeggio sul limitare dei ruderi dei Cantieri Navali insieme a mio padre. Lui ci ha lavorato per una trentina d'anni, conosce questi posti meglio di me. Ora l'impianto è abbandonato, i bacini venduti, le gru lasciate ad arrugginire nel mare. Qui si facevano soprattutto sommergibili, fino agli anni '50. Poi iniziò il lento declino, l'inglobamento nell'IRI, la fine della cantieristica navale a Taranto. La zona, oggi, è quasi completamente abbandonata.
Durante le due guerre mondiali i Cantieri divennero strategici, e la scritta "sono fiero di voi" è ancora lì, sulla palazzina della mensa. Subissata da altre scritte più recenti, che riguardano amori non ricambiati o gridati ai quattro venti. In questa mensa hanno mangiato mio nonno, un mio zio, mio padre. E' qui - all'ingresso principale dello stabilimento - che quello stesso zio fu preso a schiaffi da una camicia nera, perchè si era rifiutato di togliersi il cappello al passaggio di un reparto di picchiatori fascisti.
I pochi pescatori che ancora lavorano sulle sponde del Mar Piccolo sono fra rifiuti e detriti di ogni genere. Queste rive ai piedi delle vecchie gru sono quasi completamente costituite da frantumi che hanno rimodellato la costa. Alle nostre spalle, gravano spezzati e malati i salici piantati durante il Ventennio, per bonificare la zona che era malarica negli anni '30.
La devozione a Gesù Cristo - onnipresente - è l'unica cosa che mi ricordi di trovarmi ancora e sempre in Sud Italia, ai giorni nostri.
Proprio qui sfocia il Galeso, uno dei fiumi simbolo della città, negletto e dimenticato: instancabile e paziente, culla le poche barche che marciscono assieme ai ruderi del Cantiere.
In fondo, dall'altra parte dello specchio d'acqua, c'è lo skyline della città, il ponte, le nostre vite che si aggrovigliano ogni giorno di più nelle stesse strade, nelle stesse piazze, negli stessi mari.
