MARCO CERONI: L’ISOLAMENTO DELL’ESTRANEITÀ ​​​​​
Marco Ceroni nasce a Forlì nel 1987, studia e si forma a Milano e adesso vive a Faenza. Tra i meandri della  tentacolare metropoli lombarda o tra gli squat e le case popolari di Milano, Marco scova i contesti urbani più  misteriosi e insoliti e ne cava l’essenza attraverso la realizzazione di sculture zoomorfe e aggressive capaci di  far trasparire, attraverso la ruvidezza materica dei materiali di riuso, una vibrante modernità data proprio  dall’intervento continuo e imprevedibile del materiale.​​​​​​​
Lamine metalliche, dorature, rivestimenti plastici e  traslucidi si legano a vere e proprie “carcasse” di oggetti o a lacerti di contesti urbani creando una tensione  visiva che immerge l’osservatore in una dimensione straniante, una giungla artificiale fatta di figure bestiali  ma che Ceroni congela con la patina lucente dei suoi rivestimenti. Un artista che cerca nello spazio circostante  l’elemento di frizione, lo strappo nel tessuto urbano, l’oggetto di discontinuità visiva e che, nello stesso  tempo, riesce a ricomporre attorno ad esso un’unità percettiva. Forse è proprio l’enfatizzazione di  un’estraneità isolata a conferire alle sue opere una carica evocativa invadente che pervade la mente fino a  far vibrare le corde più misteriose dell’immaginario individuale.
È straordinario come oggetti comuni e  desueti, che appartengono agli scarti della quotidianità, sui quali passiamo il nostro sguardo con indifferenza  riacquistino nelle opere di Marco una nuova vita e una nuova voce del tutto prepotente. Sembrerebbe quasi  una “rivincita del materiale di scarto”, una sua riemersione dalla palude milanese agli spazi espositivi secondo  una logica di acquisizione e innalzamento di senso. Non si può, tuttavia, fermarsi alla descrizione delle opere  d’arte occorre indagare logiche e dinamiche che hanno guidato la loro realizzazione e, se è vero che esse sono il frutto di una mente originale e in continuo aggiornamento, allora l’unico modo per comprenderne la  natura profonda è ascoltare la voce del loro creatore.  ​​​​​​​
Ciao Marco, questa prima domanda è abbastanza canonica ma fondamentale per comprendere gli sviluppi  del tuo estro creativo. Qual è stata la tua formazione? Quando ti sei appassionato all’arte? Chi sono stati i  tuoi “ispiratori”; non solo artisti ma eventualmente anche amici o familiari. 

Dopo il Liceo Classico ho frequentato il triennio all'Accademia di Belle Arti di Bologna e in seguito, dopo qualche tempo passato a lavorare come pony express, mi sono trasferito a Milano per il biennio di Arti Visive e Studi Curatoriali alla NABA. Da quando ero bambino ho avuto un'attrazione per la rappresentazione visiva. La mia ricerca ha un forte legame con il mio vissuto ed è per questo che sono soprattutto in debito con gli amici e i compagni che ho avuto la fortuna di conoscere e di avere al mio fianco. Alla vostra raga! ​​​​​​​
Rimanendo ancora con la mente nel passato, qual è stata la tua prima opera realizzata e cosa hai provato  a riguardo? 

Ti parlo della prima opera che considero ancora tale. In The Golden Edge (2013/2016) intervenivo su carcasse di automobili date alle fiamme che trovavo all'interno dello spazio urbano, dipingendole interamente d'oro con bombolette spray. Usando l'oro, volevo astrarre l'oggetto, cambiando così anche la percezione dello spazio che lo circondava. ​​​​​​​
Ti racconto un aneddoto: la prima azione che feci fu su un’auto bruciata poco  distante dallo squat nel quale abitavo in Corvetto, periferia sud di Milano. Dopo diversi mesi che vedevo  quella carcassa mi decisi a colorarla con delle bombolette color oro. Andai lì di notte con il mio amico ed artista Stefano Serretta. La mattina dopo feci una foto piuttosto brutta e frettolosa prima di andare in  Accademia pensando di rifarla poi con calma, ma quando tornai a casa i servizi di nettezza urbana stavano  portando via l'auto. Sembrava stessero sollevando una gigantesca pepita. Questo episodio mi fece riflettere e mi spronò a continuare questo tipo di azioni
Qualcosa aveva cambiato la percezione dello spazio perché un oggetto lasciato all'abbandono da tempo nell'indifferenza circostante tornava alla ribalta mostrandosi. La stessa cosa successe con la maggior parte delle altre carcasse. È un lavoro a cui sono molto legato perché mi ha dato modo di esplorare dettagliatamente alcune zone di Milano e di tenerle monitorate: mi sono  affezionato a quelle strade. Quella prima foto brutta e frettolosa di cui ti ho parlato ho avuto l'occasione di esporla durante la mostra Perfezioni curata dal collettivo /77 a Milano nel 2016. La stampai a grandezza  naturale su fogli blueback, che incollai a parete.
Le tue opere mettono insieme una fisionomia zoomorfa con oggetti e frammenti di oggetti di materiali di  scarto. Se è corretto, quale connessione c’è tra queste due scelte? 

Soprattutto nei miei ultimi lavori l'elemento zoomorfo è molto presente. In SLAG (2020) la forma di una carena di Booster viene riprodotta in ceramica e modificata tramite innesti che richiamano il mondo organico, creando così una collezione di sculture in bilico tra scorie e resti animali
SLAG è un attacco alla realtà dove il panico tenta di arrampicarsi alla superficie delle cose. Un oggetto  del quotidiano muta la sua forma, cambia il proprio senso, e così ci apre al suo interno un altro mondo catapultandoci in una giungla urbana. 

SLAG (2020), installation view at GALLLERIAPIÙ, wall painting by Giorgio Bartocci and Stefano Serretta, ph. Stefano Maniero, 
courtesy  GALLLERIAPIÙ.
Nelle mie opere si innesca sempre un cortocircuito  continuo tra reale e verosimile, tra quotidiano e perturbante, tra banale e soprannaturale.  Un altro esempio è il mio ultimo lavoro LACOSTE (2020), realizzato durante il mio periodo di  residenza al Museo Carlo Zauli e presentato all'interno della mia personale SQUAME. Qui, complici le infinite potenzialità espressive della ceramica, viene trasfigurato completamente il  frammento di realtà che ha innescato l'idea alla base dell'opera: un residuo di copertone squarciato  a bordo strada. Non c'è un appiglio al quotidiano così evidente, ma lo trovi se provi entrare nel mio  mondo, nella mia giungla: qui un'autostrada può diventare un grande fiume paludoso popolato da  resti e carcasse di alligatori.
LACOSTE (2020), ceramic, ph. Stefano Maniero, courtesy GALLLERIAPIÙ.
Guardando le tue opere mi sono venuti in mente gli “oggetti trovati” di matrice picassiana e tardo  surrealista; opere che nascono dall’incontro casuale dell’artista con un oggetto da cui rimangono  inspiegabilmente affascinati e sul quale si preoccupano di indagare attraverso assemblage associativi. C’è qualche collegamento? 

Nelle mie opere non ci sono incontri casuali. Attingo da un paesaggio e da un immaginario ben specifico. Non inciampo su cose che poi assemblo per creare opere. La mia ricerca prende sempre piede da un mio personale background. Gli incontri che faccio sono all'interno di un campo da gioco che decido io. Anche nel mio primo lavoro di cui ti ho parlato, The Golden Edge, non c'è nessun tipo di dérive. Sapevo perfettamente cosa volevo trovare all'interno del paesaggio e quindi sapevo anche dove andarlo a cercare. ​​​​​​​
Infine, vuoi trasmettere un messaggio attraverso le tue opere; ci sono implicazioni sociali? Oppure il tuo desiderio è quello di indagare le diverse possibilità espressive dell’arte contemporanea? 

Attingo dal reale e la realtà ha infinite sfaccettature. ​​​​​​​
SQUAME (2020), installation view at Museo Carlo Zauli, wall painting by Elia Landi, ph. Stefano Maniero, courtesy  GALLLERIAPIÙ
Marco Ceroni è in mostra attualmente alla GALLERIAPIU di Bologna con l’esposizione “Slag” in cui indaga le possibilità espressive e percettive dello spazio creato e modulato dalla sovrapposizione e accostamento di pittura, architettura e scultura. Una mostra immersiva e straniante che merita una visita e non poche riflessioni.
SLAG (2020), installation view at GALLLERIAPIÙ, ph. Stefano Maniero, courtesy  GALLLERIAPIÙ
Artisti con cui ha Marco ha collaborato: 
Giorgio Bartocci, artista visivo che ha realizzato  un intervento pittorico site specific sulle pareti della galleria a quattro mani con Stefano  Serretta, anche lui artista e amico. Toni Brugnoli ha immortalato le sue opere e i suoi lavori attraverso il suo tipico sguardo crudo e metropolitano. Infine Gabriele Colia ha 
creato l'immagine grafica del progetto e Veronica Santi ha realizzato un video finalizzato  al lancio di questi nuovi lavori.

Testo scritto da: Francesca Altomare, in collab. con 
M.Ceroni e Art Future Connection
Editor: Angela Nardelli

Artista: Marco Ceroni 
Web Site: https://bit.ly/3mr1scQ
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