Io e mio fratello viviamo costretti.
 Dormiamo in un letto a castello 
e non possiamo aver accesso ai nostri armadi contemporaneamente.

Non abbiamo privacy.
Stipuliamo contratti non scritti per permetterci di vivere in 9 metri quadrati.

Ci viviamo addosso.
I nostri spazi si sovrappongono e non si incastrano mai.
Mio fratello si chiama Francesco ed è nato il 13 luglio, come me, anche lui in estate. Abbiamo da sempre condiviso l’uso di una stanza, la più piccola della casa, di soli 9 metri quadrati, senza mai sopportare l’uno la presenza dell’altro.
Continuiamo a litigare fra di noi per il possesso momentaneo del nostro spazio vitale, che sia anche solo per un paio di ore la sera o il pomeriggio. Ogni momento passato in assenza dell’altro ci permette di poter dar sfogo alla nostra personalità. Attività semplici come ascoltare musica senza cuffie, studiare indisturbati o fare una telefonata personale diventano operazioni da programmare o favori da chiedere. Con il tempo abbiamo entrambi ammorbidito il nostro carattere e riusciamo a venire in contro alle nostre rispettive necessità senza drammatizzare eccessivamente la situazione. 
Nel mio ultimo anno di università ho deciso di realizzare un progetto sul nostro spazio: condiviso, rubato, sovrapposto e forse più di tutto, assente. Per settimane ho fotografato la presenza di mio fratello nella camera assieme a me. Ho cercato di restituire in immagini il senso di oppressione che si crea tra di noi quando viviamo insieme, l’attrito che si crea tra i nostri corpi adulti e i resti che rimangono dalle azioni che compiamo in questo piccolo spazio.
9 mq
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