Simone Marchetti's profile

CONSTRUCTIONS (Italian version)

 
Questo reportage è un'analisi di un particolare aspetto della società giapponese che ho avuto modo di approfondire durante un lungo periodo di tempo trascors sull'isola, e che mi ha dato modo di ingrandire la mia visione sulle società in generale considerate maggiormente sviluppate, in termini di potenziale economico e di densità di popolazione.
Quest'opera intitolata "Constructions", è divisa in due set, il primo chiamato "We are (NOT) together" ed il secondo chiamato "We are (NOT) alone" composti entrambi da 8 rispettive fotografie. Il titolo principale e quello dei relativi set sono la chiave di lettura della mia esperienza. Il tema analizzato è quello delle “costruzioni” che intendo qui sotto due aspetti.
Nel primo set le costruzioni vengono intese come procedimento socio-culturale che plasma le coscienze individuali rendendole tutte elementi simili, come costrutti, per via della conseguente perdita dell'aspetto umano dell'intimità.
L'aspetto dell'intimità è considerato in tal senso proprio come elemento costitutivo imprescindibile per poter definire un individuo come essere pensante.
Il secondo set analizza invece il termine costruzioni come l'insieme delle infrastrutture di qualunque tipo, tese alla realizzazione e allo svolgersi dei normali aspetti quotidiani della vita all'interno della società e di tutti i suoi processi strutturali.
Veniamo ai due set.
 
 
We are (NOT) together:
 
In questa prima serie voglio raccontare e trasmettere la totale spersonalizzazione degli individui. La loro unicità e la loro intimità vengono meno in funzione di cosa rappresentano, ed il luogo nel quale tale mestiere professano. Non vi è più introspezione, non vi è la possibilità di conoscere tali persone nella loro sfera privata.
L'individuo umano in assenza della sua sfera privata e dei suoi elementi rappresentativi diviene un prolungamento del lavoro che esso svolge e nulla più.
Gli individui sono dunque trasposizione pura della società, riespressa negli elementi costitutivi della stessa.
Analizzando alcuni scatti del primo set si denota un'assenza, quella dei volti.
Nascosti da un giornale finanziario o da un cartellone pubblicitario, nasce l'idea di una volontarietà nel voler prolungare il proprio corpo col proprio lavoro, collegamento costante anche al di fuori di esso.
Il pubblico, entrando nello spazio privato, costringe quest'ultimo ad esserne inglobato. Lo spazio privato dunque si manifesta in quello pubblico diventando una schermatura, una tentativo di separazione. Il titolo di questa serie è ironico: in un contesto così densamente popolato come quello in cui ho vissuto, nonostante si manifesti ai miei occhi una cosi grande collettività di persone con la conseguente interconnessione di scambi che ne deriverebbero, noto al contrario come la perdita dell'intimità e dell'introspezione mi porti a osservare queste persone come esseri isolati, ciascuno nella propria sfera, in constante ricerca del proprio spazio fisico e mentale.
We are NOT together: non siamo insieme.
Eliminando dunque le parentesi, il “NOT” assume effettiva importanza. Ne capovolge dunque il significato, a tesi del ragionamento per il quale ad un così nutrito numero di persone dovrebbe corrispondere un proporzionale standard di vita qualitativamente superiore ed un sistema sociale e umano più elevato e vicino ai bisogni, rendendo tutti più uniti. Assisto invece a questa grave perdita e osservo le persone spersonalizzarsi, divenire stereotipi dei propri ruoli. Vedo un colpevole, che è la società stessa che ci si rivolta contro come un effetto collaterale della nostra richiesta di libertà e di maggior potere, togliendoci l'aspetto umano più importante.
Costruite da noi le società si sono ingrandite a perdita d'occhio, ma non è avvenuto un rapporto speculare tra la vastità che esse occupano sempre maggiormente e il rapporto umano fra gli individui che la costituiscono. E' come se le società ad un certo punto si staccassero, e assumessero una propria identità, viva, che non riflette più le volontà dei singoli individui, se non solo nei termini delle costruzioni materiali vere e proprie.
E' come un gioco. Seguendo le sue regole le persone si annullano mentalmente, non seguendole hanno uguale destino poichè escluse dall'unico cordone ombelicale che le collega le une alle altre. Le persone non si toccano e viaggiano ciascuno sopra la propria idea di società, che è la stessa per tutti, e che le costringe a giocare sole. La palla da bowling immortalata nella fotografia dal titolo “The Game”, deve essere lanciata verso i birilli: inesorabilmente è l'unico motivo per il quale sono stati creati.
E' questo il gioco.
Allo stesso tempo è anche un grido silenzioso, interiore, che emerge nell'impossibilità di potersi conoscere, riscoprire l'un l'altro.

(Questo tema è approfondito nei singoli 8 scritti che rappresentano le rispettive 8 fotografie, dove con la mia immaginazione vi lascio di fronte ai personaggi e alle situazioni rappresentate per dar maggiore forza emotiva e condurvi nel vivo delle mie riflessioni.)
Passengers:

Dalle imboccature autostradali delle grandi metropoli ma non solo, percorriamo le nostre strade.
Passeggeri delle nostre vite, è questa la nostra condizione.
Chi dirige il treno, chi comanda il taxy? Viene da chiederci.
Metteteci su un treno, dateci una destinazione, sempre indietro torneremo.
Come gamberi mai stanchi in immensi labirinti, poichè gli è dato riposare.
Poichè ci è consentito riposare, non saremo mai stanchi e useremo i nostri mezzi per muoverci in questi immensi labirinti che noi stessi abbiamo costruito.
Fantasie di un mondo onirico fanno parte dei nostri principi, tramutatesi poi in tangibile realtà, questa è la magia dell'uomo, che chiede la collettività.
L'immenso potere a cui ambivamo, la libertà, ritenemmo fosse possibile detenerlo solo con l'unione, ma una volta arrivati a tale idilliaco punto, ci siamo resi conto che proprio Lei è la nostra più grande nemica.
Non ricordiamo quando, ma le demmo un nome, la ragione che fino ad allora ci aveva spinti perse potere, in funzione di qualcos'altro che è poco tangibile e che non ha definizione.
Spinti da questa nuova forma d'essere e dalla paura di essere liberi battezzammo il nostro nuovo aspetto, la pazzia. Non più la ragione.
Dare un nome è ciò che più ci importa, perchè al di sotto di esso si cela un mondo che non vogliamo riscoprire e perchè ci da protezione.
Non si può tornare alle origini, non ne saremmo più capaci, ciò che importa è andare avanti e trasportarci a destinazione.
Dalle grandi vie di comunicazione, ma non solo, percorriamo un lungo cammino che ci rende uniti. Le costruzioni parlano per noi.
E noi non vogliamo parlare, da bravi passeggerei delle nostre stesse vite non chiediamo niente poichè non c'è da pensare, quando credi..
che ci sia una destinazione.
Rapid Eye Movement:

Conduttore, si fermi la prego! 
Urlano all'unisono centinaia di milioni di persone. 
Conduttore, si fermi la prego! 
Le fredde luci al neon partecipano alla comune follia, con la loro continua intermittenza documentando i volti spaventati dei passeggeri di questo folle viaggio. 
Conduttore, si fermi la prego! 
Al terzo grido il conduttore bianco in volto indirizzò il proprio sguardo, dall'immensa luce che già inglobava la prima carrozza, a tutti loro. 
Non sono più io a condurre. Non siamo più noi a scegliere la destinazione. Questo treno muove solo e non risponde più ai comandi. 
Centinaia di milioni di occhi senza conforto piangono ora il destino che li attende. Ciò che è sconosciuto. 
Fuori dai finestrini, la velocità aumentata a dismisura non permette una chiara visione di ciò che ora ha assunto una dimensione a sé stante. 
Le persone, i palazzi, le fabbriche, i negozi, i ponti.. tutto ha acquisito nuova forma, l'inconsapevolezza data dalla folle rapidità degli eventi ha unito tutto ciò, in un corpo dall'inespettata vastità, che più non ha a che vedere col bisogno umano. E che muove solo. Gli umani ora vogliono scendere da questo treno, ne han perso il controllo. 
Le destinazioni non sono più costanti, né tantomeno certe, non dipendono più dalla volontà dei passeggeri. Semplicemente non dipendono più da nessuno, esse esistono. 
Sono tangibili, ma cosa sono. 
Il treno avanza la sua corsa, affamato di paura e creatore della stessa ed allo stesso tempo. 
Poi il lamentoso pianto d'un bambino risveglia l'amore di sua madre. 
La ragione inizialmente nascosta dietro la nebbia dell'angoscia, prontamente si dirada all'udito di quell'ancestrale suono, e così la genitrice pian piano capisce. 
Lui non ha bisogno di tutto questo. Lui non piange per ciò che vedo, poiché non fa parte della sua realtà. 
Ha bisogno di me, della mia presenza.. 
Preso in grembo il proprio figlio, la madre subito rivolse l'attenzione alla folla, e disse: 
Stringetevi le mani, fate amicizia. Se questo treno avrà smesso di funzionare, ci condurrà in un luogo differente. Avremo bisogno d'amore. 
Gli occhi del bambino, se prima tremanti per la disperata ricerca d'aiuto, trasmettevano ora profonda serenità, lei lo fissava amorevolmente ed il proprio istinto le diceva che tutto sarebbe andato bene. Ora il bimbo calmato dal suono del suo cuore, dormiva, e le palpebre pian piano si chiudevano leggere sino a serrarsi completamente sulle due rosee fessure.. ed anche lei stremata seguì il proprio figlio.. 

Signora, signora! 
Sta bene? Lei stava dormendo, probabilmente sognando, così l'ho svegliata. 
Siamo al capolinea, questa è l'ultima stazione. 

E' suo questo passeggino? 
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Constructions:

E' la globalizzazione? 
E' il sentimento di comunione? 
E' la voglia di uscire, di vivere e vedere? 
No. Iniziò tutto molto prima. Ed è un cane che si morde la coda. Siamo cani che si mordono la coda. Una coda lunga migliaia di secoli di cultura. Una coda che cresce e si divide, come rami di un albero, mai potato. Sempre verde. 
Seguo, io, come loro, la mia radice, il mio fusto, poi il mio ramo, scegliendo di conseguenza un ramoscello fin lì, dentro le foglie. Dove costruisco la mia nicchia, il mio nido. 
Quasi non c'è tempo per pensare dove voglia stare. Così che alla fine mi convinco di averla avuta, una decisione. 
La linfa ci spinge ad una velocità tale che se rifletti troppo, essa stessa più non ti nutre. 
Da lì parte, ogni mattina, la mia vita, e vi faccio ritorno la sera stessa, stanco. 
Vivere stanca. 
Ed è per questo che laggiù, dalle radici, se ne sono resi conto e ci distraggono continuamente. 
Distrarsi aiuta. I messaggi aiutano a distrarre. Spece se non capisci esattamente quale sia il loro significato. Poichè è proprio questo il significato. 
Consigli, oppure ordini? 
Mi distraggo così, guardando tutta questa gente, che fa come me. Fare. Essere. 
Quasi le confondo queste due cose, seppur così differenti, così importanti. Eppure. 
Ed ora qui, poco prima del sottopassaggio, a volte esito. Questo percorso è lo stesso da sempre oserei dire. E' il mio percorso. Ma non oggi. Oggi io ho paura. 
Oggi io vedo quei grattacieli poco distanti in costruzione, così tangibili, e sono proprio per noi. 
L'albero si sta ingrandendo, e forse qualcuno sta scegliendo un altro percorso per me. 
Io proprio non la saprei manovrare quella enorme gru, che ci sorregge tutti. Sarei bloccato a dover scegliere per così tante esistenze. 
Ma quella gru lo fa, è li apposta. L'abbiamo scelta noi, forse? Migliaia di secoli di cultura addietro. Qualcuno prese la decisione di doverla costruire. 
Anche se a me piace pensare, ed allo stesso tempo mi paralizza farlo, che lei si costruì da sola. Per noi. 
E' così. Quando torno a casa la sera. Quando guardo fuori, ed ho una vera prospettiva. 
Io piccolo. Lei grande. 
E ne vedo cosi tante di gru che si stagliano lungo l'orizzonte imperlato di luci, che non capisco più se tutto questo ha un inizio e una fine. 
E se sono solo un processo. 
Dal quale dare vita ad un altro ramo, 
ad un altro ramo, 
ad un altro ramo.
The Game:

E' tutto qui, eccolo il gioco. 
E' il nostro gioco, il gioco di tutti. 
Quello che iniziamo e che non possiamo finire. 
Ho davanti a me questa sfera, e dietro di essa, la pista. 
La lancio la palla, vi sono costretto, e spero poter far strike, riuscire. 
Non vi è altro modo di partecipare, puoi sbagliare, certo, ma è un gran rischio, gioca bene dunque. 
Come partecipante queste sono le regole e sono le uniche. Tira e butta giù i birilli. 
Partecipa e costruisci. Per gioco si inizia, sei inserito, ma poi non è più un divertimento, altrimenti ne sei fuori. 
Sono tanti i tiratori, ognuno con una sfera in mano, va lanciata, ma una volta che essa inizia a rotolare, non ci si può tirare più indietro, il risultato è il frutto stesso della premessa: la maniera in cui lanci (poichè lanci te stesso.) 
E così, trasformati in una palla, iniziamo a rotolare giorno per giorno diretti verso la meta, che sta all'orizzonte. 
E' la società che crea e plasma le persone trasformate ora in propri elementi costitutivi, facenti parte di essa, in una maniera che non permette di tornare più indietro; ed è sempre lei, superato questo passaggio, a decidere i punti che hai realizzato, quanto sei capace, quanto sei andato in alto. 
Ma è la mente di ognuno che pensa alla traiettoria, a come muoversi, verso quale birillo rotolare, poichè la pista sembra sempre la stessa, ma non lo è mai, e a seconda di quale sfera siamo un poco influirà sulla nostra direzione e non c'è maniera migliore di autocorreggersi, se non puntando gli occhi verso le altre sfere, quelle che ce l'hanno fatta, e quelle che si sono perse al lato della pista, rotolando verso un'altra direzione, che non comprende i birilli, che non comprende un risultato, che non arriva all'orizzonte. 
Ne nasce una media statistica, un movimento continuo, un flusso aleatorio, che non ci permette di riflettere se esista o meno una ragione sul dover giocare, ma che ci dà l'inafferrabile certezza di essere parte di qualcosa che prevede che anche noi abbiamo giocato, e se queste sono le uniche regole, ben venga, saranno accettate. 
Non sta certo ad una palla cambiare le regole del gioco, se questa non ha bocca per comunicare. 
Se non vi è unione di sfere il gioco non cambia dinamica, e non cambierà mai. Viene da sè, che loro stesse avran sempre l'idea di essere state costruite solamente per ripetere all'infinito gli stessi movimenti, che in questo tipo di gioco, hanno senso. 
Poichè così, anche la pista ha senso, anche i birilli lo hanno, e i punti, danno la salvezza. 


Io sono il numero 9 ed ora lasciatemi tirare. Non c'è più tempo per giocare, ma ci sarà per sognare di non aver mai cominciato a farlo. 
Financial Distortion Of Perspective: 

Tum-tum tum-tum 
E' il suono, che scandisce il tempo. 
Tutto è trasformato ora. 
Tum-tum tum-tum 
E' il suono del treno che mi riconduce a casa. 
Casa? Per riposare certo. Ma io lo sto già facendo, qui seduto, io dormo. Forse sogno. Se così fosse, tanto meglio. 
Ne ho bisogno. Tra poche ore ritornerò a lavoro. Casa, dicono... 
Non vi è casa senza letto, e del letto non ho bisogno. 
Il mio lavoro è la mia vita. Oggi tra le scartoffie è emersa una foto dei miei figli, come un filamento d'erba che resiste allo schiacciante peso dell'asalto. Alle pratiche, ciò che è ancora umano in me ha sostituito i ricordi ed ho visto spiragli di luce. 
Ho percepito la vista di ciò che sarei stato, se il lavoro non avesse preso il posto della mia persona, della mia esistenza. 
Del mio intimo. 
Tum-tum tum-tum 
Shinsaibashi, manca oramai poco all'arrivo, o al ritorno, se vogliamo. 
Io non so affrontare me stesso, sono uno tra tanti. Li vedo qui di fianco a me, seduti, in piedi. 
Come fantasmi di luce, quando ci muoviamo veloce e fuori attendono il loro treno, dormienti invece, quando anche loro sono come me. 
Potrei osservarne uno ad uno, quasi contassi pecorelle, e non servirebbe a rasserenarmi, al contrario solo a farmi intendere la vastità del sistema. 
Appurato, profondo, sostanziale. 
Mi sto scoprendo troppo. Devo essere maschera. Non deve trasparire nulla, soprattutto domani. C'è riunione con i capi. 
Prenderò questo giornale e lo userò come copertura. 
Devo riallacciarmi. 

The Blind Man:

"Sono io. 
Sono qui. 
Aiutatemi, poiché credo di avere bisogno di aiuto. 
Non è possibile, perdere l'ultimo stralcio d'umanità. Io non ricordo più da quanto sono così. Da quanto, sono così...? 
Sento l'angoscia mista ai rumori della città. 
E' così grande che mi fa eco. Ed il suono non arriva a nessuno. Poiché nessuno può udire un grido silenzioso.
Ciò che rappresento, non rappresenta più me stesso. 
La pubblicità. 
Queste scritte, segnano ora anche il mio corpo, ed oltre ad esso, la mia anima. 
Mi danno un nuovo nome ed estirpano il mio. Ora è privo di valenza. 
Oltre al nome svanisce anche la mia vista. Vedo tutto nero. 
Io sono cieco! 
Le mie mani, fanno forza, il loro gesto è partecipe alla forma che ho assunto. Ma non per quello che vorrei. 
Percepisco le voci, i sentori di altre figure umane intorno a me. Ma nessuno si ferma! 
Fermatevi! Guardatemi! 
Non mi riconoscono di certo. Che stupido, il mio volto è nascosto. 
Nonmipossonoriconoscerenonc'ènessunooltreme
senzaviadiscampocomprateguardate 
Compratemi! Guardatemi! 
Ho paura!!! 
Questa nuova identità si è impossessata di me. 
Ho paura. 
Leggetemi! 
Quando finirà tutto questo? Quando potrò andare via... 
e tornare a casa... riscoprire il mio volto. 
Liberarmi di queste pesanti lettere. 
Fardelli della mia volontà d'essere... per essere... 
Io sono cieco. 
Intimacy:

L'inquadratura. 
Ora solo questo conta. 
Inseriscimi bene nell'immagine, amico fotografo. 
Io non sono più una figura femminile, io sono una rappresentazione. 
Una rappresentazione di qualcosa che si è perduto, l'aspetto umano, l'intimità. 
Io sono l'intimità che si è persa nel cammino. 
Le vedo queste persone mascherate, esercito di stereotipi in marcia, ma sono loro a non vedere me. Non più. 
Tu scegliendomi, ti sei reso conto di quanto io sia speciale e vuoi mostrare agli spettatori quanto sia ironica la mia presenza. 
Mi mostrerò come colei che deve coprire gli spazi che sono la trasposizione della domanda che tu ti poni, nel retroscena comunicativo che intendi trasmettere, e cioè la manifestazione di un desiderio di conoscenza, nel quale gli elementi umani ci sono, li avrete visti, ma in realtà non sono presenti, se non come surrogati di una società che li crea al pari delle costruzioni, siano esse artificiali che umane. (Costrutti) 
Ora io non rappresento nient'altro che me stessa (come figura umana) ed entro dunque in netto contrasto con le altre figure, spersonalizzate in funzione di ciò che rappresentano socialmente e quindi, sono elemento ironico. 
Io non parteciperò alla costruzione delle infrastrutture, degli edifici, degli uffici e delle abitazioni se ciò vorrà dire divenire queste cose. 
Io prenderò un treno, che passerà lungo la ferrovia alle mie spalle, per vivere la mia vita con la consapevolezza che sono carne ossa ed anima, e lascierò all'asfalto il duro compito di non pensare. 
Se hai preso bene il fuoco ora puoi scattare. 
Bisogna passare il messaggio a chi il cuore lo ha lasciato laddove ha costruito. 
Bisogna prendere un cammino che non è ancora stato battuto. 
Deus Ex Machina:

Occhi fissi. 
Siamo tanti. 
Occhi fissi. Siamo tanti qui oggi. 
Ma a me non importa, ho atteso così tanto fuori al freddo. 
Ed ora sono qui. In attesa di Dio. Dovrei sentirmi vicino agli altri compagni di fede? 
Dovrebbe importarmene.. ma così proprio non è. 
Non so come dovrei comportarmi se Dio personalmente venisse da me. Sarebbe così bello! Ma gli altri proverebbero invidia.. c'è chi è qui da più tempo di me. 
Noi attendiamo la sua venuta. 
E' solo questione di attesa.. non vi è una morale. Non vi è una Torah. 
Cosicchè neanche Lui conosce le motivazioni che lo spingono a rivelarsi, ed a riversarsi copioso, tra le mani del prescelto. Dei prescelti. 
Siamo tanti. 
La mia situazione.. Sto male, non trovo lavoro. Mio marito non so più cosa faccia da mesi. Non mi parla e non so il motivo. 
Io ripongo qui la mia fiducia, per cambiare vita. 
Deus ex machina. Aiutami tu. 
Scendi dal cielo e liberami da questa sete dal sapore metallico. 
Non voglio più esser misoneista. 
Non vi è una morale, scegli me e basta. 
Mi abbaglia il volto questa continua luce e la vedo riflessa in quello dei miei compagni, maschere azzurro-grigie prive di indentità. 
Questi continui suoni, non posso non chiedermelo. 
Sono simboli della tua imminente venuta? Ora, qui, attraverso questa macchina? 
O mi sono persa in un labirinto di un surrogato me stesso. 

..un giovane straniero sta scattando una foto, e non posso fare a meno di voltarmi altrove per celare la mia presenza. 
Non ho voglia di partecipare ad un gioco.. che non sia il mio. 
We are (NOT) alone:
 
In questa seconda serie, all'opposto, vengono rappresentati luoghi totalmente privi della presenza umana. Siamo quì in pieno riferimento alle costruzioni vere e proprie.
Siamo davanti al prodotto materiale creato dalle società, non più un prodotto vivente.
Calce, ferro, rame, cemento o legno.
In questo caso ciò che ci si presenta è la visione di luoghi disabitati dalla presenza umana. Siamo soli.
Anche qui vi è una mancanza: l'elemento umano che non completa il cerchio è l'assenza dell'individuo umano stesso. Siamo soli.
Ma ancora una volta, eliminando la parentesi il concetto viene palesato.
Possiamo ora affidare alle strutture un nuovo ruolo, quello di essere dei rimandi all'elemento umano. Questi luoghi sono costruzioni effettive, materiali, prodotti della società per il suo normale svolgimento.
We are not alone: non siamo soli.
Possiamo vederli come scarti del procedimento di assimilazione che rende l'uomo uno stereotipo sociale ed eccoli, dunque, luoghi lavorativi, garages, edifici, scuole, rimesse o stazioni di servizio, che immobili rimandano ai loro creatori messaggi di segreta intesa. Sappiamo per cosa li abbiamo costruiti, siamo dunque noi a dare un senso alle loro forme, ma sono loro, una volta operativi, a scandire le nostre vite, non più come uomini ma come elementi bio-meccanici di questo grande sistema, talmente complesso da lasciare in me aperta una importante questione alla quale con questo portfolio ho cercato di darmi risposta.
"E' preferibile la presenza dell'uomo seppur annichilita e nascosta dietro il prodotto di se stessa, la società ed i suoi ruoli, oppure la totale assenza umana, seppure indelebilmente presente e marchiata nella creazione delle proprie costruzioni, poiché figlie del prodotto umano sociale, ed inutili e prive di senso senza di esso?"
In entrambi i casi l'assenza, vera principale protagonista, sulla quale ho posto la mia attenzione.
Queste ultime immagini sono inoltre legate tra esse dall'elemento notte, dalla condizione notturna nella quale non casualmente sono state prodotte: la notte come arco temporale in cui si dorme, le città sono vuote e ci si interroga intimamente entro gli spazi abitativi delle proprie mura su chi siamo, perché esistiamo e dove stiamo andando.



Simone Marchetti

 
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© Simone Marchetti

 
CONSTRUCTIONS (Italian version)
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