Portraits

A contraddistinguere e consolidare l’arte di Fabrizio Visone è, senza ombra di dubbio, la sua peculiare e
sorprendente capacità di osservazione e di analisi dell’animo umano, nonché la costante e feconda ricerca
che, regolarmente ed accortamente, l’artista torinese mette in atto, nell’esatto e nodale momento in cui va
ad esaminare, sondare e rilevare l’effettiva connessione, il reale legame, esistente tra corpo ed anima,
esteriorità ed interiorità, materialità ed immaterialità; un’importante indagine che Visone svolge,
usufruendo della sua intatta, assoluta e percettiva sensibilità.
Difatti, sarebbe un frettoloso e fuorviante atto di inconcludente superficialità l’etichettare e, quindi,
sminuire e banalizzare le opere del pittore torinese, definendole dei dozzinali e finiti ritratti, quasi fossero
delle tediose, sormontate ed accademiche esercitazioni di stile e/o tecnica.
Piuttosto, Visone intende riportare ed esaltare, su tela, il connotato morale e psichico del singolo,
cogliendone pregi e difetti, vizi e virtù, mancanze ed eccessi, decadenze e perfezionamenti, identità e
differenze, consacrate menzogne e pavide verità, psicotiche manie, smanie, tic comportamentali, vezzi e
frivolezze, volubilità e stravaganze, audaci disinvolture e soffocati disagi, fidate fantasticherie e terrifiche
frustrazioni, inquietudini e consolazioni, ilarità ed afflizioni, al fine di carpire la vera ed autentica essenza
dell’individuo rappresentato.
Nell’esaminare la metodica e l’ideologia artistica di Fabrizio Visone, è possibile cogliere una particolare
attinenza ed un indicativo parallelismo con l’arte di Lucian Freud, in assoluto, uno dei più grandi pittori
contemporanei, con il quale l’artista torinese condivide la suddetta volontà di rendere l’espressione e la
declinazione psicologica del soggetto.
Anzi, Freud, adottando un taglio concettuale nettamente similare a quello dei filosofi esistenzialisti e dei
pittori espressionisti tedeschi, afferma che è giunto a sviluppare una vera e propria: ”ossessione per il
soggetto, che deve rivelare tutto se stesso, in modo che si possa selezionare cosa ritrarne”, tant’è che “la
bravura di Freud – ha scritto il critico Richard Dorment - non sta tanto nello stile pittorico, quanto nel modo
in cui egli si relaziona al modello, nel modo in cui reagisce a lui”.
E’ sempre nella rappresentazione del modello, in particolar modo nella determinata e fedele scelta della
tipologia del soggetto da ritrarre, che si svela un’ulteriore analogia, accomunante i dipinti di Visone a quelli
del pittore britannico, di origine tedesca.
“Nelle mie opere – spiega Freud - descrivo me stesso ed il mio ambiente, le persone a cui voglio bene, le mie
stanze e ciò che conosco”.
La medesima predilezione viene espressa anche dall’artista torinese, che, nei suoi dipinti, raffigura persone
assolutamente comuni, familiari, estrapolate dalla sua stessa vita, dalla sua stessa quotidianità, e
consegnate all’imponente palcoscenico dell’arte, in modo da garantire loro la possibilità di divenire assoluti
ed esauditi “primi attori” della scena pittorica.
I protagonisti dei suoi dipinti si pongono, a pieno viso, dinanzi all’obiettivo dell’arte: c’è chi si cela dietro uno
stereotipato e pacifico sorriso, stile “foto tessera”, e chi, al contrario, si svela in tacite malinconie,
mistificanti illusioni od inconsolabili solitudini.
Non mancano, inoltre, i più audaci: quelli che, con fare piuttosto provocante e sfacciato, cercano di sedurre
ed inebriare lo sguardo dello spettatore, e quelli che, permeati da un alone di fiero ma buffo egocentrismo,
si agghindano a festa, per godersi, secondo la sarcastica e sprezzante “filosofia warholiana”, i loro agognati e
luccicanti 15 minuti di gloria, inscenando ammiccanti sorrisi, burlesche smorfie e faceti lazzi, divenendo, in
tal modo, una goffa pantomima di se stessi.
A mettersi a nudo, invece, sono davvero in pochi: implica un’eccessiva umiltà ed un elevato senso di lealtà e
verità, verso se stessi e verso gli altri, la composta onestà di rivestirsi, unicamente, del proprio coraggio di
essere, denudandosi di puritani veli, fasulli fronzoli e convenienti perfezionismi, prontamente supportati da
un tronfio e borioso perbenismo.
L’usufruire dell’elemento “carne”, interpretato come una manifesta e perspicua rivelazione dell’essere, che
mette a nudo non solo il corpo, ma, soprattutto, l’anima dei soggetti ritratti, è, per Fabrizio Visone, un
adeguato ed assolutamente attendibile strumento di verità.
A tal proposito, mi tornano alla mente le parole della tanto sublime quanto maledetta Jenny Saville, quando
dichiara: “tutto quello che m'interessa è limitato alla rappresentazione della carnalità di un corpo. Quando
ritraggo qualcuno, lo isolo, come se lo chiudessi all'interno di uno spazio circoscritto, ritagliando tutto quello
che c'è attorno, per focalizzare l'attenzione su di un unico particolare: la carne.
Il corpo rappresenta tutto ciò che ciascuno di noi possiede, le esperienze, i fatti ti lasciano dei segni
ravvisabili, proprio attraverso la corporeità, e questo mi basta.”
Quasi per una questione di cordiale ed equa “par condicio”, nella panoramica umana, scandagliata da
Fabrizio Visone, non mancano all’appello quelli che, al contrario, preferiscono trovare facile conforto in una
conveniente maschera, probabilmente, al fine di rammentarci le sempre attuali parole di Machiavelli, che,
ne “Il principe”, scriveva: “ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei”.
Da qui, subentra il concetto di “travestimento”, che, secondo Friedrich Nietzsche, è il chiaro sintomo di una
decadente mancanza di coerenza tra forma e contenuto, nonché una forzata e fittizia postura
morale/comportamentale, che cela e, talvolta, ci illude di fronteggiare dolorose condizioni di insicurezza,
fragilità, ansie e turbamenti.
Sulla base di tali paradigmi di pensiero, Visone si appresta ad affrontare la complessa e multiforme
dicotomia esistente tra l’essere e l’apparire, una scissione concernente ciò che davvero siamo e quello che,
invece, sembriamo, generando, in tal modo, un vero e proprio sgretolamento dell’Io, obbligato ad indossare
un'acquiescente maschera, ignobilmente servile alle usuraie convenzioni sociali, deleterie garanti di una
drammatica e mortificante spersonalizzazione, e, di conseguenza, di un’alienante e svilente omologazione.
" La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d'arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro
e fuori di noi, perché noi già siamo forme fissate, forme che si muovono in mezzo ad altre immobili, che,
però, possono seguire il flusso della vita, fino a tanto che, irrigidendosi man mano, il movimento, già a poco
a poco rallentato, non cessi.
Le forme, in cui cerchiamo d'arrestare, di fissare in noi questo flusso continuo, sono i concetti, sono gli ideali
a cui vorremmo serbarci coerenti, tutte le finzioni che ci creiamo, le condizioni, lo stato in cui tendiamo a
stabilirci. Ma, dentro noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima, e che è la vita in noi, il flusso continua,
indistinto, sotto gli argini, oltre i limiti che noi imponiamo, componendoci una coscienza, costruendoci una
personalità.
In certi momenti tempestosi, investite dal flusso, tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente; e
anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti, ma che si scopre a noi distinto e che noi abbiamo,
con cura, incanalato nei nostri affetti, nei doveri che ci siamo imposti, nelle abitudini che ci siamo tracciate,
in certi momenti di piena, straripa e sconvolge tutto.
Vi sono anime irrequiete, quasi in uno stato di fusione continua, che sdegnano di rapprendersi, d'irrigidirsi in
questa o in quella forma di personalità. Ma anche per quelle più quiete, che si sono adagiate in una o in
un'altra forma, la fusione è sempre possibile: il flusso della vita è in tutti. "
(L. Pirandello, L'Umorismo, parte seconda, cap. V.)
Ma cosa esige, realmente, Fabrizio Visone dai suoi dipinti? Cosa impone ai suoi quadri?
Credo che la risposta, saziante questa precisa e giustissima domanda, risieda nelle medesime parole, scritte
da Lucian Freud, quando qualcuno gli pose un similare quesito.
“Ad un mio dipinto, io chiedo di stupire, di disturbare, di sedurre e di convincere”.
Questo è ciò che dichiara Freud, e questo pare sia l’identico presupposto, fissato e perseguito da Visone, nel
momento in cui realizza le sue opere, dipinti potenziati da un’estrema ed assoluta carica comunicativa, che,
effettivamente, riescono a stupirci, sorprenderci, provocarci, sedurci, convincerci e, perché no, talvolta,
anche a farci storcere il naso, ma, di certo, non ci lasceranno mai indifferenti.
Quelle del pittore torinese sono opere da “ascoltare”, “scrutare”, “fiutare”, “assaporare”, “degustare”, in
tutta pace e tranquillità, proprio come si fa con un buon bicchiere di vino, per cercare di cogliere, di quegli
stessi personaggi, un battito di cuore, un sospiro, un profumo, un pensiero, un segreto, un rimpianto, un
grido, una risata.
Manuela Torre, Giugno 2011
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