L’architettura viene sottratta all’opacità della materia e diviene strumento di apertura tra interno ed esterno, artificio e natura, offrendosi non più come oggetto solido, stabile e permanente, bensì come fenomeno sensoriale. Ecco la sfida per questo progetto di padiglione Hokkaido: creare uno spazio in grado di generare “espressioni ” piuttosto che “forme espresse”, avendo cura di non perdere quel sentimento di appartenenza alla sfera naturale da sempre presente nella filosofia del costruire giapponese. ​​​​​​​
​​​​​​​Il padiglione, caratterizzato dall’assenza di confini precisi, riflette la concezione tipica della cultura orientale, che cerca nell’architettura un’ intrinseca armonia con il mondo della natura e delle sue suggestioni. E’ concepito come un dispositivo che produce il paesaggio, attraverso la percezione di esso. Un metabolismo leggero, per i materiali scelti, che sono il legno, per la struttura, e il plexiglass, per la sottile membrana che filtra la luce. Dallo studio delle correnti nel nord del Giappone, nasce questa forma ondeggiante, organica, in grado di “incanalare” il vento. La strategia climatica è dunque molto semplice: sfruttare le correnti in estate, fare da riparo e immagazzinare calore in inverno. Poiché leggermente rialzato, sembra fluttuare in estate; in inverno la neve, che a Hokkaido arriva ad accumularsi fino a 1 metro nei mesi più freddi, gli fa da piedistallo.
Ombra e ritmo: la metafora naturale costituisce sempre l’orizzonte di riferimento. 
E’ lo spazio senza confini e insieme il suo involucro.
Hokkaido Pavillion
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